Lavoro
Due soldi e tanti rischi: ecco l’offerta per far tornare i lavoratori in Italia
I dati parlano chiaro. Il flusso verso l’estero di imprese e professionisti italiani è divenuto nel tempo sempre più rilevante, al punto da divenire prioritaria l’adozione di una strategia che stimoli il rientro. Il problema è più incisivo di quanto sembri: riuscire a recuperare le risorse già inserite in sistemi economici e produttivi esterni è una misura indiretta del livello di credibilità che il nostro Paese ha internazionalmente. Per questo motivo operazioni, come quella condotta dalla Regione Umbria, dovrebbero essere evitate.
Tale regione, infatti, sotto il nome altisonante di “Brain Back”, ha “disposto la riapertura dei termini per la presentazione delle domande di partecipazione del bando fino al 31 dicembre 2019, “Concorso di idee imprenditoriali finalizzato a favorire il rientro degli/delle emigrati /e umbri/e nel territorio regionale attraverso lo start-up d’impresa”.
Una valida azione, nulla da dire, se non per le risorse finanziarie destinate: un totale di € 100.000,00 per un valore massimo di spesa ammissibile per progetto di € 25.000,00.
Potrebbe essere comunque una cifra sufficiente, per determinati settori, ma non certo per quelli definiti: Scienze della Vita, Agrifood, Chimica Verde, Fabbrica Intelligente/Aerospazio, Energia.
Ma non finisce qui: nelle spese ammissibili non rientrano le “spese connesse alla concessione di brevetti o di altri diritti di proprietà intellettuale ivi comprese le spese di ricerca pre-brevettuale direttamente sostenute dalla società titolare del brevetto”, “acquisizione di attrezzature scientifiche e di laboratorio” e “macchinari, attrezzature, impianti hardware e software”.
Di seguito il dettaglio delle voci previste.
Ora, non bisogna essere esperti per immaginare che per i settori delineati, il canone annuo di locazione non rappresenti la maggiore fonte di costo, né tantomeno bisogna essere export-manager per comprendere che una professionalità che vive e lavora all’estero abbia già avuto modalità di avviare dei contatti diretti con dei potenziali clienti.
Parliamoci chiaro: il bando non si rivolge a giovani startupper. Si rivolge, come è giusto che sia, a persone che all’estero hanno già trovato un’occupazione o a chi ha effettuato un percorso di studi (non Erasmus, per intenderci) all’estero e che quindi ha sicuramente la possibilità di cercare nel contesto in cui risiede altre opportunità di lavoro.
Prendiamo il caso di un lavoratore: gli si chiede di creare un’impresa in Italia (il cui cuneo fiscale è tra i più alti d’Europa e che ha uno dei peggiori posizionamenti tra gli altri Paesi membri per business-friendliness), di avviarla in settori ad alto tasso di investimento tecnologico e umano (aerospazio o industria intelligente) e gli si offre in cambio un aiuto economico pari massimo a 25.000 euro, di cui massimo 6000 annui destinati a coprire le spese di locazione. Vista così, sembra piuttosto un aiuto immobiliare!
Questo bando offende l’intelligenza di chi, magari, in Italia vorrebbe davvero tornare e non è certo così che si può stimolare la crescita produttiva di un territorio. Meglio, a questo punto, offrire gratuitamente servizi di facilitazione burocratica, amministrativa e legale e fornire una serie di servizi che possano aiutare alla costruzione di un micro-cosmo produttivo (presentazione potenziali clienti e fornitori per la futura impresa, individuazione aree urbane o extra-urbane in cui poter insediare la nuova sede, raccolta cv e presentazione potenziali candidati).
Non sarebbe forse lo strumento più convincente del mondo ma, a parità di budget, potrebbe offrire soluzioni a bisogni più concreti. E soprattutto, rappresenterebbe un atteggiamento meno subdolo e sornione.
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