Letteratura
Chaim Grade, il viaggio di “Fedeltà e tradimento” per superare i cliché Yiddish
Più Giuntina pubblica Chaim Grade – mentreAnna Linda Callow amorevolmente lo traduce e ce lo spiega – più la grandezza dell’uomo, del narratore, del pensatore, del poeta emerge in tutta la sua luce. Si capisce così perché il giorno in cuiI(saac) B(ashevis) Singer vinse il Premio Nobelper la Letteratura 1978 una buona fetta della società ameridish di allora, – Elie Wiesel in testa – sostenne essere Grade «il più grande romanziere yiddish di sempre». Chi ha quindi apprezzato e si è appassionato con La moglie del rabbino non potrà che rinnovare il proprio entusiasmo leggendo Fedeltà e tradimento, due godibilissimi e profondi racconti più una accuratapostfazione della traduttrice ALC co-firmata daTommaso Bellini, Giuntina, pp. 200, € 18,00.L’ambientazione – geografica e culturale nella novella Il giuramento, quasi solamente filosoficane La mia contesa con Hersh Rasseyner – è sempre lituana, ovvero quella d’una ultraortodossia haredì dove manca, anzi è osteggiato e criticato, l’aspetto mistico chassidico tanto presente nella più conosciuta letteratura yiddish mitteleuropea di matrice sostanzialmente polacca. Grade (Vilna 1910 – New York 1982) rimane insomma cantore di una particolare fetta di Mondo Scomparso, quella cresciuta intorno a Vilna, la “Gerusalemme di Lituania”, “Yerushalaim de-Lita”. E quanto Grade c’è in entrambi gli scritti! Come ricorda la germanista Roberta Ascarelli, Chaim soleva affermare di avere sempre parlato di sé nei suoi romanzi: «In tutti gli eroi ci sono io, comprese le donne, i gattie persino gli alberi».
Ma andiamo con ordine. Dirò subito che questo volume merita due ragionamenti distinti (in due “puntate”). Iniziamo dalla novella Il giuramento. Un padre morente, uno dei pochi chassidìm della cittadina, Shlomo Zalman Rapoport, chiede ai figli, istruiti e moderatamente emancipati, una sorta di conversione: il più grande, Gavriel, dovrà abbandonare l’Università per dedicarsi a studi religiosi con un oscuro, bizzarro, splendido maestro, Avraham Abba Zelikman, mentre la figlia dovrà lasciare ilfidanzato comunista per un pio allievo di yeshivà. I giovani tuttavia, tra tentennamenti e dolorosi rimorsi, proseguiranno per la propria strada allontanandosi dalla città e dalla promessa, mentre la madre, Bath Sheva, seguendo le ultime volontà del marito, scoprirà l’inattesa gioia di trovare un nuovo piissimo e bislacco compagno. Anche qui, come già ne La moglie del rabbino, lo stile è – come dire? – classico: micro quotidianità ottocentesca, pennellate di pittoresco, una costante traccia di ironia in qualche modo leggera, senza tempo. Per intenderci: nulla da spartire con la «fantasmagoria di eros, smarrimento e demonia che tanto appassiona i lettori di Singer» (cit. Ascarelli).
Come si capirà poi anche nel secondo scritto, il rapporto fedeltà/tradimento è “il tema”. Due facce della medesima moneta. Un rovello da sempre e per sempre – oggi più che mai –presente nella complessa identità ebraica, laica o religiosa che sia. Un conscio o inconscio, comunque rovente, inevitabile, straziante tradimento reciproco: il padre che tradisce il figlio chiedendogli in punto di morte un livello di osservanza che lui stesso non ha raggiunto, e il figlio che se non obbedisce tradisce. Vale per la famiglia, vale per la comunità, per la religione, per la tradizione dei padri e per le sue leggi. Alla ricerca di un intricatissimo e forse impossibile equilibrio tra Uomo e Norma. Apparentemente nel solco di una narrazione appartenente alla cosiddetta yiddish renaissance di questi anni. In realtà – come detto all’inizio – Grade interrompeil clichè formatosi nel grande pubblico intorno alla figura dei fratelli Singer (ricordo che Callow è stata anche la traduttrice de La famiglia Karnowski, di Israel Joshua Singer, Adelphi). Interrompe il clichè, e io credo lo superi in termini di liricità e di passione.
(1 – continua)
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