Il 13 settembre di dieci anni fa il mondo ha salutato per l’ultima volta Walter Bonatti, il «Signore delle Cime», il «Re delle Alpi», l’uomo che con le sue imprese ci ha fatto conoscere e innamorare della maestosità delle vette, dell’avventura più autentica, di luoghi sconosciuti e popolazioni ancestrali. Alpinista, esploratore, fotografo e giornalista, Bonatti è stato nei posti più impervi e ignoti del nostro pianeta, facendoci sognare con i suoi racconti. «La mia – amava dire – era la ricerca di un punto d’incontro con il mondo selvaggio per meglio conoscerlo, assimilarlo e trasmetterlo poi con parole e immagini ad altri».
Nato a Bergamo nel 1930, fin da giovanissimo si è reso protagonista di imprese alpinistiche eroiche, di difficile realizzazione anche con le attrezzature più tecnologiche dei nostri tempi. Perché, solo la luminosità delle vette lo faceva vivere davvero: «Da quassù il mondo degli uomini altro non sembra che follia, grigiore racchiuso dentro se stesso. E pensare che lo si reputa vivo soltanto perché è caotico e rumoroso». E ancora: «Nella consapevolezza del privilegio che avevamo di poter vedere assai più in là di quanto non riservi il piccolo destino agli uomini di città, accalcati gli uni sugli altri in monotona esistenza, lasciavamo vivere tutta la fantasia che il quadro davanti a noi suggeriva».
La vita alpinistica di Bonatti, densa di avvenimenti, di imprese, di tragedie e anche di numerose polemiche, inizia sulle Prealpi lombarde subito dopo la seconda guerra mondiale. Da quel momento il «Signore delle Cime» non si ferma più e va sempre più in alto, verso nature divine ed eroi. Nel 1951, con Luciano Chigo, scala la parete est del Grand Capucin. Tre anni più tardi è il più giovane partecipante alla spedizione capitanata da Ardito Desio, che porterà Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sulla cima del K2. Nel 1955 sale in solitaria il pilastro sud del Petit Dru.
Nel 1965 Walter Bonatti lascia l’alpinismo. Ma lo fa dopo una salita che ha fatto la storia: scala in solitaria invernale, per la prima volta, la parete nord del Cervino. «Ho abbandonato l’alpinismo estremo – racconterà ai giornalisti in occasione del suo ottantesimo compleanno – perché con i mezzi tradizionali, ai quali avevo giurato fedeltà, potevo ormai solo ripetermi. (…) La corsa verso i record ha portato l’alpinismo, come gli altri sport, ai trucchetti».
Però «Re delle Alpi» non si ferma. Negli anni successivi continua la sua avventura esplorando foreste, deserti e popolazioni antiche. I suoi viaggi nelle terre selvagge, alla ricerca delle tigri nella giungla dell’Asia, e poi in Patagonia, in Venezuela, in Africa, fino all’Alaska, vengono raccontate prima dal settimanale Epoca e successivamente nei suoi stupendi volumi.
Nel mio primo viaggio nella giungla del Myanmar Orientale, mentre stavo in una capanna con i guerriglieri Karen, che da oltre settant’anni combattono per la loro autonomia, e successivamente in altre occasioni, in particolare quando ho trascorso qualche giorno con i tribali Lahu nella fitta vegetazione delle montagne del Nord-Ovest della Thailandia, tra Chiang Mai e Chiang Rai, mi sono venute in mente – e ho compreso davvero – le parole che Walter Bonatti ha scritto su «Un mondo perduto. Viaggio a ritroso nel tempo», dove racconta le sue esperienze tra le popolazioni indigene.
«Ciò che distingue soprattutto tali uomini semplici da tutti gli altri più emancipati sono la forza, l’ingegno, la serenità, la capacità di sopravvivere in un mondo inospitale ed insidioso dove ognuno di noi morirebbe inevitabilmente e rapidamente. (…) È dalla sopravvivenza di questa gente, veri fossili viventi, che ci è possibile misurare le qualità di chi, senza saperlo, ha vissuto e vive tuttora in armonia con tutte le cose. Ciò che è questa gente, ciò che sanno fare e possono fare, questi figli della natura, è cosa che certo non si insegna a casa nostra, né forse riusciremmo più noi ad apprenderla».
Il «Signore delle Cime» era un uomo d’altri tempi, curioso di conoscere ed esplorare ovunque. In un mondo convulso, logorato dalla sindrome della modernità alla ricerca del superfluo, Bonatti ci ha insegnato a vivere intensamente, senza frenare i nostri sogni e la voglia di avventura. E a dieci anni dal suo ultimo viaggio terreno, non possiamo che ringraziarlo continuando a scoprire i confini della terra.
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