Settant’anni a costruire la pace, e tutto intorno non c’è che conflitto
Monica Scafati
Pubblicato - 16/Gen/2021
Ricercatrice indipendente, attivista, artista e docente; scrive approfondimenti per ricontestualizzare eventi su cui l’informazione si limita alla cronaca superficiale o all’opinione politicamente orientata.
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in: L’innegabile degenerazione del “politicamente corretto”
Il marchio non era affatto nuovo, ma sul mercato da diverso tempo, e la vendita non “faceva leva”, ma più semplicemente raccontava la storia di come nasce il nome e il formato di pasta. Quando si scrive: “Negli anni Trenta l’Italia celebra la stagione del colonialismo”, si dice per l’appunto ciò che avviene negli anni [...] Trenta, e non vedo come questo si trasformi in una “celebrazione odierna”. Quando poi lo storytelling scrive “La pasta di semola diventa elemento aggregante? Perché no!” siamo sempre nel contesto degli anni Trenta, quando il fascismo ha davvero utilizzato ogni strumento per celebrarsi e celebrare il regime, e per aggregare nel suo totalitarismo ogni aspetto del quotidiano, tra cui l’immancabile piatto di pasta a tavola. In considerazione di questo, non riscontro apologia del fascismo, ma solo il racconto veritiero di una porzione della storia del fascismo. Quando poi si scrive “Di sicuro sapore littorio”, il soggetto, stando all’analisi logica, è “il nome” e non “la pasta”. L’immagine utilizzata come copertina dell’articolo, che è quella su cui si vedono le sottolineature in rosso di quella che in molti hanno definito una vergognosa attestazione di “consenso” al fascismo, è utilizzata proprio affinché sia chiaro, al di là di posizioni emotive, il contenuto del testo e di quanto gli si recrimina. Per altro non mi pare si faccia alcun riferimento, in quello storytelling, alla non veridicità dei crimini di guerra accertati in Abissinia...
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