Non credo abbia senso interrogarsi circa il valore della vita animale, mi sembra uno sforzo inutile, giacché riguarda un quesito futilmente ovvio. Certamente ogni vita ha un valore, questo non solo a livello emotivo, ma stabilire quale sia è difficile stabilirlo. Una vita, in primis quella umana, ma anche quella degli animali (intesi come non [...] umani, visto che anche l'uomo, in fin dei conti, è pur sempre un mammifero) va trattata con rispetto. Il fatto che qualcosa abbia un valore, tuttavia, non significa per forza che sia inestimabile. In termini prettamente individualistici, di inestimabile c'è solo la mia sopravvivenza. Non ho intenti polemici, fondamentalmente, da carnivoro, potrei dilungarmi in elucubrazioni capziose sui vegetariani che uccidono l'insalata. O sulla necessità pratica di ingerire qualcosa di vivo, o che comunque era vivo, se non si vuole morire. Vita dalla vita, insomma, perché non si possono mangiare i sassi... l problemi di fondo di cui vorrei discutere, riguardano l'uccisione di un animale per scopi alimentari, e l'umanissima distorsione che, di pari passo con l'evoluzione culturale, ha portato il sapiens a creare un mondo virtuale in cui crede di vivere, oppure magari vive realmente, ma che lo separa totalmente dal mondo naturale da cui è stato partorito. Se penso da uomo, posso capire il tuo ragionamento e ritenere rispettabile le tue scelte alimentari. Ma riflettendo su ciò che chiamo Natura, penso alla legge della giungla, vedo che un essere vivente non si fa remore ad uccidere. Per il cibo. Per difesa. Per accoppiarsi. E via dicendo. Ora, personalmente ritengo che il sacrificio di un animale per il mio nutrimento sia accettabile. Lui muore, io vivo. Di certo non vorrei morire io per lasciare che vivesse... In termini filosofici, bisogna essere onesti con la discussione. La macellazione di una bestia a fini alimentari riguarda le vetrine con le carcasse esposte? L'allenamento intensivo di animali? Lo spreco di carne da cui conseguono abbattimenti inutili? Riguarda, forse, il fatto che l'uomo contemporaneo ha raggiunto un benessere e delle capacità organizzative tali per cui riuscirebbe a emanciparsi da una dieta carnivora? No, non riguarda nessuna di queste cose. Questi sono problemi aggiuntivi, corollari del quesito filosofico di base. La vita è legata a filo doppio con la morte e vivere di frutta non risolve niente. Tanto più che il rispettabilissimo pensiero vegetariano o vegano, potrebbe essere a tutti gli effetti ritenuto un vezzo, una sovrastruttura dell'uomo occidentale. Se vivessimo in una realtà più selvaggia, o se non ci crogiolassimo quotidianamente nel surplus, forse, potremmo pensarla in modo diverso. Difatti, se mi sforzo di immaginare questa questione, come se fosse posta a qualcuno che vive lontano dalla civiltà del cemento, o, semplicemente, a chi soffre la fame, sento una vergogna da ipocrita salirmi su per la schiena... Forse è la mia giustificazione per continuare a mangiare carne, perché mi esonera dal pormi quesiti morali (anche se poi la morale è culturalmente soggettiva), ma credo che la natura detti ancora le regole. L'uomo le elude e le aggira, ma, nonostante un sacco di giravolte retoriche, la legge della giungla rimane alla base di tutto. Quindi, tutte le motivazioni politiche (che, essendo tali, riguardano un'altra sovrastruttura umana), perdono di senso riflettendo sul fatto che, carne o meno, lo squilibrio tra il più forte e il più debole molto probabilmente rimarrebbe invariato. Insomma, evitare di sprecare risorse a causa della carne non risolve automaticamente la fame nel mondo e gli squilibri sociali che lo devastano. Questa è soltanto una pia illusione per individui sensibili ed empatici. Ma è solo la mia opinione di cinico...
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in: Perché è moralmente doveroso non mangiare carne
Non credo abbia senso interrogarsi circa il valore della vita animale, mi sembra uno sforzo inutile, giacché riguarda un quesito futilmente ovvio. Certamente ogni vita ha un valore, questo non solo a livello emotivo, ma stabilire quale sia è difficile stabilirlo. Una vita, in primis quella umana, ma anche quella degli animali (intesi come non [...] umani, visto che anche l'uomo, in fin dei conti, è pur sempre un mammifero) va trattata con rispetto. Il fatto che qualcosa abbia un valore, tuttavia, non significa per forza che sia inestimabile. In termini prettamente individualistici, di inestimabile c'è solo la mia sopravvivenza. Non ho intenti polemici, fondamentalmente, da carnivoro, potrei dilungarmi in elucubrazioni capziose sui vegetariani che uccidono l'insalata. O sulla necessità pratica di ingerire qualcosa di vivo, o che comunque era vivo, se non si vuole morire. Vita dalla vita, insomma, perché non si possono mangiare i sassi... l problemi di fondo di cui vorrei discutere, riguardano l'uccisione di un animale per scopi alimentari, e l'umanissima distorsione che, di pari passo con l'evoluzione culturale, ha portato il sapiens a creare un mondo virtuale in cui crede di vivere, oppure magari vive realmente, ma che lo separa totalmente dal mondo naturale da cui è stato partorito. Se penso da uomo, posso capire il tuo ragionamento e ritenere rispettabile le tue scelte alimentari. Ma riflettendo su ciò che chiamo Natura, penso alla legge della giungla, vedo che un essere vivente non si fa remore ad uccidere. Per il cibo. Per difesa. Per accoppiarsi. E via dicendo. Ora, personalmente ritengo che il sacrificio di un animale per il mio nutrimento sia accettabile. Lui muore, io vivo. Di certo non vorrei morire io per lasciare che vivesse... In termini filosofici, bisogna essere onesti con la discussione. La macellazione di una bestia a fini alimentari riguarda le vetrine con le carcasse esposte? L'allenamento intensivo di animali? Lo spreco di carne da cui conseguono abbattimenti inutili? Riguarda, forse, il fatto che l'uomo contemporaneo ha raggiunto un benessere e delle capacità organizzative tali per cui riuscirebbe a emanciparsi da una dieta carnivora? No, non riguarda nessuna di queste cose. Questi sono problemi aggiuntivi, corollari del quesito filosofico di base. La vita è legata a filo doppio con la morte e vivere di frutta non risolve niente. Tanto più che il rispettabilissimo pensiero vegetariano o vegano, potrebbe essere a tutti gli effetti ritenuto un vezzo, una sovrastruttura dell'uomo occidentale. Se vivessimo in una realtà più selvaggia, o se non ci crogiolassimo quotidianamente nel surplus, forse, potremmo pensarla in modo diverso. Difatti, se mi sforzo di immaginare questa questione, come se fosse posta a qualcuno che vive lontano dalla civiltà del cemento, o, semplicemente, a chi soffre la fame, sento una vergogna da ipocrita salirmi su per la schiena... Forse è la mia giustificazione per continuare a mangiare carne, perché mi esonera dal pormi quesiti morali (anche se poi la morale è culturalmente soggettiva), ma credo che la natura detti ancora le regole. L'uomo le elude e le aggira, ma, nonostante un sacco di giravolte retoriche, la legge della giungla rimane alla base di tutto. Quindi, tutte le motivazioni politiche (che, essendo tali, riguardano un'altra sovrastruttura umana), perdono di senso riflettendo sul fatto che, carne o meno, lo squilibrio tra il più forte e il più debole molto probabilmente rimarrebbe invariato. Insomma, evitare di sprecare risorse a causa della carne non risolve automaticamente la fame nel mondo e gli squilibri sociali che lo devastano. Questa è soltanto una pia illusione per individui sensibili ed empatici. Ma è solo la mia opinione di cinico...
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