Mi dispiace ma non sono d'accordo. L'architettura è "buona architettura" quando ne sottende un'etica che non riguarda solo un'economia in termini di materiali, riutilizzo e impatto (che certamente sono fondamentali). Penso si possa parlare di "buona architettura" quando questa è a servizio sia delle funzioni per essa prevista sia al contesto in cui si trova. [...] So che ExpoGate è stato molto criticato, specie da chi a Milano ci vive, più che dalla intellighenzia del settore, ma io trovo che la situazione tra questo caso e quelli citati sia notevolmente differente. Expo Gate secondo me è stato un intervento preciso e studiato, rispettoso del luogo in cui si trovava e non un'architettura inutilmente moderna solo per dare nell'occhio (la definizione più populista che si può trovare in giro). Chi ha progettato ExpoGate dubito fortemente avesse come primo pensiero di lasciar segno di sé (o di un committente), ma anzi che abbia a fondo studiato la storia e l'urbanistica di Milano: lo spazio tra le due strutture evidenziava l'asse antica di Milano che dal Duomo porta al Castello sulle vie principali della città, senza contare la maniera in cui valorizza il castello; anche formalmente si inchina rendendo omaggio alle guglie del Duomo, leggere e simbolo verticale di Milano per eccellenza. Di certo chi si è lamentato nel 2014 di Expo Gate aveva la memoria corta per aver rimosso l'immagine orrida di quel parcheggio disordinato di motorini su asfalto sciolto e malconcio, con la strada ancora aperta al traffico tra Cairoli e la piazza del Castello.
Ecco perché non tutte le architetture possiamo prenderle spostarle ricostruirle riabitarle: l'architettura non "si usa perché c'è", lo spazio non "si occupa perché è vuoto". L'architettura talvolta può stare solo dove sta perché si inchina e omaggia nella maniera più umile possibile la memoria storica del luogo che occupa. E l'identità di uno spazio, ciò che lo rende luogo, sono la memoria storica e il rispetto che le persone che lo vivono nutrono a renderlo tale. Lo stesso spazio, smetterà di essere luogo se deprivato delle ragioni per cui ha quella forma e si trova lì. Uno spazio che non è un luogo, non serve a nessuno, neppure in periferia.
Concludo dicendo che questa non è una sviolinata saccente da chi ne sa di più per esperienza, ma da una venticinquenne che cerca di capire i luoghi del contemporaneo con amore e passione. A presto.
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in: Un Castello (finto) senza Expo Gate
Mi dispiace ma non sono d'accordo. L'architettura è "buona architettura" quando ne sottende un'etica che non riguarda solo un'economia in termini di materiali, riutilizzo e impatto (che certamente sono fondamentali). Penso si possa parlare di "buona architettura" quando questa è a servizio sia delle funzioni per essa prevista sia al contesto in cui si trova. [...] So che ExpoGate è stato molto criticato, specie da chi a Milano ci vive, più che dalla intellighenzia del settore, ma io trovo che la situazione tra questo caso e quelli citati sia notevolmente differente. Expo Gate secondo me è stato un intervento preciso e studiato, rispettoso del luogo in cui si trovava e non un'architettura inutilmente moderna solo per dare nell'occhio (la definizione più populista che si può trovare in giro). Chi ha progettato ExpoGate dubito fortemente avesse come primo pensiero di lasciar segno di sé (o di un committente), ma anzi che abbia a fondo studiato la storia e l'urbanistica di Milano: lo spazio tra le due strutture evidenziava l'asse antica di Milano che dal Duomo porta al Castello sulle vie principali della città, senza contare la maniera in cui valorizza il castello; anche formalmente si inchina rendendo omaggio alle guglie del Duomo, leggere e simbolo verticale di Milano per eccellenza. Di certo chi si è lamentato nel 2014 di Expo Gate aveva la memoria corta per aver rimosso l'immagine orrida di quel parcheggio disordinato di motorini su asfalto sciolto e malconcio, con la strada ancora aperta al traffico tra Cairoli e la piazza del Castello. Ecco perché non tutte le architetture possiamo prenderle spostarle ricostruirle riabitarle: l'architettura non "si usa perché c'è", lo spazio non "si occupa perché è vuoto". L'architettura talvolta può stare solo dove sta perché si inchina e omaggia nella maniera più umile possibile la memoria storica del luogo che occupa. E l'identità di uno spazio, ciò che lo rende luogo, sono la memoria storica e il rispetto che le persone che lo vivono nutrono a renderlo tale. Lo stesso spazio, smetterà di essere luogo se deprivato delle ragioni per cui ha quella forma e si trova lì. Uno spazio che non è un luogo, non serve a nessuno, neppure in periferia. Concludo dicendo che questa non è una sviolinata saccente da chi ne sa di più per esperienza, ma da una venticinquenne che cerca di capire i luoghi del contemporaneo con amore e passione. A presto.
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