Deja vu all’italiana: da Pinelli a Charlie Hebdo
Dai tempi di Piazza Fontana, quando in Italia succede una tragedia la priorita’ e’ una sola: trovare il capro espiatorio per evitare di cercare i […]
Nella tristezza per questo continente minacciato nei suoi valori fondativi, oggi qualcuno troverà perfino la forza di sorridere. Sarà chi mal digerisce il mito della stampa anglosassone, dei grandi giornali della city, dell’informazione anglofona intesa come panacea di ogni male. Succede anche nelle migliori famiglie, si sa, ma quello che è successo oggi al Financial Times ha del clamoroso. Del sensazionale, diremmo, non fosse che – purtroppo – la notizia sensazionale – si fa per dire – è l’attentato di Parigi.
A caldo, quando ancora si sapeva poco o nulla dell’attentato che ha fatto 12 morti nel giornale satirico Charlie Hebdo, Tony Parker, Capo del dipartimento Europa (…), scrive di Charlie Hebdo e dei fatti avvenuti che sono fatti tremendi, da condannare, certo, ma che sono stati davvero stupidi, che nella patria di Voltaire hanno voluto esagerare perdendo il segno del buon senso. Un buon senso che, spiegava il direttore del dipartimento europeo del più importante quotidiano economico del mondo, avrebbe dovuto consigliare di non provocare oltre, dato il contesto.
Ai piedi del suo column, scoppia ovviamente il putiferio. Il commento medio è “Barber, vergognati, di cuore: dalla Francia”. Molti sono poi i lettori dell’Ft che annunciano di aver già disdetto l’abbonamento. Qualcuno prende delle timide difese del noto giornalista, ma è circondato da violenti improperi. Coi quali – sia detto per inciso – è davvero complicato non essere d’accordo: per il semplice fatto che chi risponde con il mitra alle parole e ai disegni commette un reato rigettato secolarmente dalle civiltà occidentali e sanzionato da ogni democrazia, cioè l’omicidio.
La storia finisce poco dopo: con Tony Barber costretto, di fatto, a cambiare in fretta e furia l’editoriale, che nella versione attuale che trovata linkata poco più sopra non contiene più infatti i riferimenti alla stupidità. Certo, conserva l’idea che Charlie Hebdo abbia sfidato un clima ostile e violento, ma insomma il tono cambia, e sensibilmente.
Alla fine di una giornata come questa di parole ne restano poche. Resta, una volta di più, la certezza che attraverso Internet, anche oggi, è stato possibile informarsi e formarsi un’opinione come non era possibile fare fino a qualche anno fa. Grazie a twitter e facebook abbiamo visto cosa succedeva là, abbiamo aggiornato la nostra conoscenza della tragedia, e con twitter e facebook abbiamo potuto condividere la nostra rabbia e la nostra indignazione. Sugli stessi canali, tuttavia, tutto resta, e la fretta di dire la nostra, di mostrarci anticonformisti e coraggiosi, di dire la nostra senza rispetto per nessuno, a volte gioca brutti scherzi. Non solo all’uomo della strada che tante volte giudichiamo col sopracciglio alzato. Anche, a volte, al grande giornalista del grandissimo giornale. Che – se il mito anglosassone ha ancora una sua solidità, e ce l’ha – potrebbe anche trovarsi, presto, a pagare qualche conseguenza per quell’anticonformismo indigesto, e tanto indifendenbile da chiamare una goffa correzione in corsa.
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Non mi permetto di dare degli stupidi ai vignettisti di Charlie Hebdo, ma sicuramente hanno sottovalutato il pericolo. Hanno difeso la libertà di espressione con la propria vita? O hanno imprudentemente provocato dei pazzi? Col senno di poi, ne valeva la pena?
La vedo dura sottovalutare il pericolo dopo che ti hanno distrutto la redazione già una volta. La risposta che Le do, quindi, è: si, ne valeva la pena, proprio perché hanno provocato dei pazzi, dimostrando come il fondamentalismo – politico, religioso o di qualsiasi altra natura – crea, appunto, gente folle pronta ad uccidere nel momento stesso in cui non c’è totale aderenza e sottomissione al “progetto superiore”.
E vedrà: torneranno più forti di prima.