La scena politico-istituzionale italiana é ricca di figure e riflessioni di primo piano, nell’analisi delle condizioni attuali e sulle prospettive future dell’Europa. Ma anche se non mancano elaborazioni di alto livello, questo saggio di Gianni Cuperlo merita una menzione d’onore speciale e specifica. E se è di qualche fondamento la considerazione, o l’auspicio, che la buona politica discenda dalla buona cultura, Cuperlo, con questo libro, certamente ne concorre al rinforzo.
“Rinascimento europeo” (Il Saggiatore, 2022), stende refoli di aria fresca e chiari del bosco illuminanti su oltre un millennio di storia della cultura e della società europea per raccordare eredità del passato, vocazioni dell’oggi e coordinate per un’idea futura dell’Europa.
La lettura svela l’imprinting della storiografia francese degli Annales, in base alla quale la comprensione della storia non può prescindere dalla conoscenza della geografia e da un approccio di indagine pluridisciplinare. Ma forse ciò che più conta e connota questa narrazione é fortunatamente la mal dissimulata specificità di uno sguardo fortemente caratterizzato dall’appartenenza ad una storia e ad un luogo, Trieste, crogiolo di genti e culture, terra di storie e di geografie dell’anime e dei cuori così peculiari, plurali, contaminate. Trieste, portofranco per concessione del 700 asburgico, sbocco sul mare della Mitteleuropa, luogo di fertilità intellettuale e letteraria su cui ha germinato lo sgretolamento dell’idea di romanzo e la frammentazione dell’identità, da Joyce, a Svevo, da Stuparich a Saba.
Così come il doppio sguardo dell’aquila bifronte dell’allora impero austroungarico (la Kakania di Musil) si sdoppiava in opposte direzioni, allo stesso modo divergeva in uno strabismo illuminato da polarità opposte e coesistenti l’identità triestina: tra il centralismo amministrativo di Vienna e la pluralità di istanze identitarie e pulsioni nazionali dei popoli dell’impero sovranazionale; tra l’internazionalità della letteratura triestina e l’uso del dialetto come lingua di intellettuali, commercianti e popolo; tra gli interessi commerciali legati all’impero asburgico e le aspirazioni di appartenenza nazionale rivolti all’Italia. Una mutualità di sguardo cosí ben evidente anche nel nostro più luminoso intellettuale, il triestinissimo Claudio Magris, che tra il raffinato viaggio nella storia e nella cultura mitteleuropea in “Danubio” e i mondi della quotidianità triestina e giuliana poeticamente vivisezionati in “Microcosmi” fonda l’esperienza quotidiana concreta con il larghissimo sfondo culturale che si sviluppa lungo il corso del Danubio, dalla Foresta Nera all’omonimo mare.
Nel “Rinascimento europeo” di Cuperlo scorre il fiume carsico che raccorda il filo sotterraneo che lega momenti della storia europea, eredità politica, visioni ideali tra i due capitoli estremi che ne disegnano la cornice. Il primo capitolo “Partire da casa” e l’ultimo, prima della coda di chiusura, “A casa si torna”, dove casa é, appunto, Trieste: luogo fondativo e generativo di un lungo viaggio alla ricerca delle origini del nostro Occidente, spaziando dal monachesimo medievale al positivismo ottocentesco, da Galileo a Kafka, da Carlo Magno e Kohl, dalle visionarie profezie di Altiero Spinelli alla democratura paternalistica e oligarchica di Orban.
A dispetto di millenni di rappresentazioni dello spazio, nessun luogo della storia politica europea infatti ha sfidato gli assiomi della geometria euclidea per rappresentare lo spazio e la sua storia così come ha fatto Trieste, la Provincia più stretta: unico luogo dove la frontiera non segna il limite ma connota il centro e dove il confine unisce le parti nella contaminazione delle diverse appartenenze. Un luogo nel quale l’attenzione all’area danubiana faceva il paio con quella per il canale di Suez in costruzione, formidabile opportunità di internazionalizzazione degli scambi. Un dispetto alle nostre ansie definitorie, alle nostre sbrigative semplificazioni così poco plurali ed eterodirette che tranquillizzano paure e minacce verso ogni asserita diversità.
Nessun altro luogo è sfuggito all’istanza semplificatoria come la triestinitá con la sua fertile ibridazione tra italiani, sloveni, tedeschi ebrei, greci, turchi in dispetto a troppi nazionalismi volti a sigillare il legame univoco imprescindibile fra origini, terre e culture. Grazie a tutti questi elementi, nell’humus internazionale di inizio 900, Trieste è stato il luogo dove, parafrasando un cardinale fiumano degli anni Venti, anche il più “mona” nasceva già parlando quattro lingue. É vero che a volte le ragioni di questa alchimia sfuggono anche alle chiarezze fattuali e tendono verso il mito.
Nell’incipit di “Danubio” Magris, rappresentando l’originale chimica generativa di questo particolare sguardo, così tipico della Mitteleuropa prima e del sud est balcanico poi, scrive:
“il termine jugoslavo- come quello austriaco – è musilianamente immaginario e indica la forza astratta di un’idea anziché l’accidentale concretezza di una realtà ed è il risultato di una sottrazione, l’elemento che rimane, una volta tolte le singole nazionalità, comune ad ognuna di esse e non identica a nessuna”. È ancora prima Gianni Stuparich definì la patria come “campo tra i campi di una stessa terra di Dio” sforzo di conciliazione dell’idea di nazionalità e della confederazione di popoli, aspirazione moderna e cogente di per questa Europa da riaffermare e ridefinire.
In “Rinascimento europeo-il libro dell’Europa che siamo stati che siamo e che dobbiamo diventare“ Cuperlo raccoglie e porta a sintesi la sua riflessione delineando tre requisiti necessari a rilanciare il divenire europeo:
Per primo, “assumere di nuovo la professionalità politica come un bene necessario” per onorare la rappresentanza ed i diritti derivanti dal voto.
Secondariamente, la necessità di dotarsi di “un capitalismo della sorveglianza”, per vigilare sul rapporto tra potere e tutela delle istanze democratiche.
Infine, riporre “al centro la cultura politica ed il campo da riorganizzare”, precondizione per scongiurare le troppe e già viste fusioni a freddo elettorali.
Ora che i 70 anni di relativa pax europea sembrano vacillare di fronte ai riemergenti e rapaci nazionalismi, chiude Cuperlo con l’ammonimento a non rimbalzare dalla “banalità del male” alla “banalità del nulla”, vero terreno di coltura degli egoismi e della violenza. Sempre Magris, ricorda Saba, che ricordava Nietzsche che auspicava: “siamo profondi, ridiventiamo chiari”.
Questa di Cuperlo é una lettura che accompagna l’auspicio di una maggiore solidità dei rapporti tra pensiero ed azione, tra principi e politica, tra valori e scelte.
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.