La Torre Eiffel e la sindrome da facebook
Non mi è mai tanto piaciuta la moda di cambiare la foto profilo di Facebook in corrispondenza a qualche fatto di attualità. Un fenomeno inizialmente emerso con l’arcobaleno, poi esploso con il celebre “Je suis Charlie” e consolidato con i colori delle bandiere sovraimposte alle proprie foto profilo.
I motivi per questa mia avversione sono varî, per esempio il banale fatto che a molta gente non è mai fregato un cazzo di quelle cause che vanno ad abbracciare con una foto profilo e – appunto perché il loro impegno si limita a quello – continua a non fregargliene un cazzo.
Ma il principale fattore scatenante è molto più semplice e pratico di tutto questo.
Ho scoperto di recente che esiste un’opzione su Facebook che permette di scegliere la data di scadenza della bandiera di turno sul proprio profilo. Uno strumento molto utile per decidere a priori per quanto tempo fingere mostrare la propria indignazione con l’incontenibile disdegno di una foto: un giorno, una settimana, un mese. Si corre un po’ con il gregge e poi si torna placidamente a brucare.
Morti di serie B?
Ultimamente gli attacchi ai danni dei civili si sono tristemente moltiplicati nel mondo e le voci critiche verso questa usanza sociale hanno iniziato ad alzarsi. Perché tutti “Je suis Bataclan” ma nessuno “Je suis Lahore”?
Penso sia chiaro perché in genere ci sta più a cuore una vittima di Parigi, così vicina a noi e dove tutti più o meno siamo stati, rispetto a quelle in città remote ed esotiche, ma è ovvio che ci si aspetta più oggettività da parte dei media.
Facebook, nel suo ruolo sempre più preminente di news feed, non può evitare le polemiche per aver reso disponibile la bandiera francese mentre quella pakistana, per esempio, no.
Dopo essersi illuminata del tricolore francese e belga in solidarietà alle vittime, anche la Torre Eiffel è divenuta bersaglio di queste polemiche. Perché il monumento parigino non si è vestito dei colori pakistani? Qualcuno ha persino fatto girare online una foto di qualche anno fa della Torre illuminata con i colori della nazionale sudafricana di rugby, non so se per svista grossolana o per voluta ricerca di un qualche retweet.
Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, ha difeso la sua decisione sulle basi che con il Belgio c’è una connessione ed una vicinanza speciale. Un concetto interessante che smaschera un altro parametro decisionale: la prossima volta che sventoliamo – virtualmente – una bandiera non solo dovremo deciderne la durata, ma anche il criterio in base a cui decidere quali nazioni e quali stragi valgano lo sforzo, se non vogliamo aggiornare la foto profilo ogni giorno.
Spero che questa situazione, una volta chiuso Facebook e zittito il cinguettio di Twitter, ci faccia riflettere un attimo. Ha veramente senso sprecare tutto questo tempo sovraimponendo bandiere sulla propria faccia, o criticare chi lo fa, o criticare chi non lo fa, o giustificarsi perché lo si fa o meno? Se proprio ci interessa una causa dobbiamo leggere, ascoltare e capire cosa sia. Spegniamo il computer e facciamo qualcosa di utile, altrimenti ritorniamo ad usare internet per il suo scopo originale: gattini e pornografia.
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