Tecnologia

IA, dati e container: l’importanza della preparazione

8 Maggio 2024

Fa molto caldo al porto di Newark. Forse più che caldo è aria ferma, pesante, che neanche la brezza del mare riesce a smuovere. Le navi poi non aiutano, assorbendo il calore e ributtandolo fuori insieme ai fumi delle loro ciminiere. E poi c’è un gran caos, confusione e urla dei marinai che sanno sempre meglio dei portuali come vanno sistemate le merci. Ma tanto le stive traboccano e niente sta al suo posto. Poi tanto andrà scaricato di nuovo e ricaricato tutto sui camion e poi di nuovo su una nave da fiume. Certo è vero che i fiumi vanno al mare, ma mica tutte le merci vanno sullo stesso fiume.

Mentre si perde in questi pensieri, McLean si ripara la testa con il giornale che ha appena finito di leggere. Sperava sarebbe bastato a occuparlo durante tutto il tempo di caricamento, ma nonostante avesse letto già due volte la notizia della morte di Guglielmo Marconi, quel maledetto balletto tra le gru e i camion ancora continuava. E maledetta baia pensava, neanche il mare vero ti fa vedere, solo una sua pallida immagine, che non è né fiume ne oceano, né lago né palude, ma tutto insieme e niente di tutto questo. “Nato nel 1874, morto ieri, nel 1937… 63 anni, beh ci può stare”, pensa. Già che ha passato la Grande Guerra, mi pare un buon risultato.

Niente, ancora a litigare su cosa mettere prima e cosa mettere dopo. Uno più cocciuto dell’altro, che se gli cadesse in testa una gru si spaccherebbe quella. Che poi cosa cambierà, l’importante è finire in fretta, prima le cose grandi e quindi le piccole. E poi però, pensa McLean, all’arrivo come si fa se le cose più piccole sono sopra e quelle più grandi sotto? E poi forse non è meglio mettere le più pesanti sotto e le più leggere sopra? Ahhh che ne so, basta che si muovano!

Sempre più spazientito, cerca con lo sguardo qualcun altro come lui con cui condividere le sue perplessità. Ma niente, tutti a discutere e solo lui che deve subirne il tempo perso. “Eh, facile” esclama ad alta voce, come se avesse trovato un compagno di borbottii “guarda lì quanto fanno veloce: arriva il fattorino, scarica i suoi pacchetti di sigarette tutti uguali, li mette negli scomparti tutti uguali, e se ne va, con la sua scatola precisa che non conteneva né troppi pacchetti né troppo pochi, costruita espressamente a quello scopo”. Si volta, ancora più irritato, e riguarda quelle teste di mulo discutere. “grandi esperti, grandi navigatori, grandi impresari, e poi son fermi qui. Ora gli spiego io: prendo tutte le loro merci e le metto dentro i pacchetti di sigarette, così lo vedi come stanno tutte belle in ordine. E quando arriva il camion o il carretto, in un attimo prendi due pacchetti e ce li metti sopra!”.

E se effettivamente fosse quella la soluzione? Improvvisamente salta su, cade il giornale dalla testa, la foto di Marconi bagnata dall’acqua della baia. “Certo!” urla, questa volta senza badare a chi può o non può sentirlo “questa è la soluzione! Grandi scatole tutte uguali, organizzate, uguali per tutte le navi e per tutto il mondo!”.

E finalmente, il 26 aprile 1956, il mondo assiste all’epocale lancio della prima nave carica di container dal Porto di Newark. Una nave che porta con sé non solo merci, pensa McLean, ma anche il segno tangibile di una rivoluzione imminente nel mondo dei trasporti. Il nostro uomo, di nuovo su quella umida banchina, questa volta sorride.

 

Non sono mai stato a Newark. Come avrete intuito, l’intento era introdurre l’invenzione del container nella riflessione sull’intelligenza artificiale e, più in generale, sul digitale. La storia forse andò così, forse no, ammetto che le mie fonti sono molto labili e sporcate da tanta immaginazione. Penso che ci fosse davvero il distributore di sigarette (ho controllato, è stato inventato “nel 1926 da William Rowe, un americano”, mi ha risposto Perplexity.AI, quindi potrebbe esserci stato) e il porto, così come la fatica di chi doveva scaricare e ricaricare tutto a pezzi e ogni volta.

Ma il senso è molto più ampio e astratto: c’è una duplice lezione che penso si possa imparare da questa invenzione, per applicarla ai nostri fini.

  • La prima, è che i dati vanno organizzati, standardizzati, devono divenire interoperabili per permettere alla digitalizzazione di esprimere il suo massimo potenziale;
  • la seconda è che a volte lo standard che rivoluziona tutto il sistema arriva dopo, in modo casuale, ed è talmente semplice ed efficace da spazzare via tutte le altre soluzioni esistenti. Lo abbiamo visto in vari campi, dall’elettricità alle videocassette, ma lo sperimentiamo ogni volta che qualcosa è talmente perfetta da non richiedere ulteriori stravolgimenti. Al massimo modifiche, accorgimenti, ma la struttura di base – come una sedia, un tavolo o una ruota – rimane quella.

Questa duplice lezione può essere divisa tra fruitori ed erogatori di soluzioni digitali – ammettendo poi che si può essere entrambi – .

La prima è quella che mi preme di più. Oggi tutti parliamo, sempre e continuamente, di IA. L’intelligenza artificiale generativa si è imposta con tale prepotenza e stupore che ogni volta è necessario ricordare che è solo una delle IA possibili, che c’era molto già prima, che ha dei grossi limiti, che funziona (per ora) solo in modo statistico. Che quindi non possiamo dimenticare tutto ciò che c’era in precedenza.

Se la paragonassimo all’invenzione dell’automobile, effettivamente imparare a condurre un cavallo oggi è abbastanza superfluo, mentre avere la patente – per quanto non obbligatorio – è molto più utile. Quello che però non può mancare sono le strade, un nuovo modo di regolare il rapporto tra pedone e automobili, tra automobili e altre auto, una riflessione su dove posteggiarle, dove ricaricarle, dove ripararle etc.

Per quello che sto vedendo, da amatore più che da esperto, il problema appare l’aver dimenticato i compiti a casa sulla digitalizzazione pre-IA generativa, soprattutto in molte PMI. Non si parla ancora abbastanza di cybersecurity e ci si vuole lanciare a interagire con l’IA o a farci interagire i propri clienti o fornitori con l’IA. Ci si affida totalmente al cloud e alle competenze esterne, o a nessuna competenza, e poi si ritiene possibile condurre con successo una automazione anche parziale dei propri processi, produttivi o organizzativi.

Quello che vorrei vedere – e sono felice che in molte strutture si faccia, come nella rete dei Digital Innovation Hub (conflitto di interesse, lo ammetto) –sono articoli, workshop, assessment e approfondimenti non solo su come applicare l’IA in azienda, ma su “cosa fare prima di poter applicare l’intelligenza artificiale in azienda, perché questa abbia successo”.

È vero che l’innovazione corre sempre più veloce, in particolare quella digitale. Ma non si è obbligati sempre a tentare di stare al passo con l’Hype o la competizione tra giganti sui più potenti LLM in azione. Si può anche approfittare di questo momento di creazione esplosivo, in cui tanto nasce ma anche tanto è destinato a perire, per prepararsi adeguatamente, recuperare i gap accumulati e mettere in ordine i propri dati, i propri processi, facendosi trovare pronti all’introduzione dell’IA, con tutti i container al loro posto.

 

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