Tecnologia
Cosa dicono i big data dopo 7 mesi di epidemia
In questo articolo si intende fare il punto della diffusione e sviluppo dell’epidemia di covid19 dopo 7 mesi di costante e continua crescita che ha finito per colpire quasi 18 milioni di persone in almeno 215 nazioni, causando circa 700 mila morti, con una stima di 6 milioni di individui attivi sparsi in tutto il mondo.
Queste cifre indicano 2 aspetti: che circa 11 milioni di persone sono considerati “recovered”, cioè casi risolti, anche se in ogni paese vi è stata, e continua ad esserci, una differente interpretazione circa il fatto che “recovered” possa significare semplicemente “dimesso”, oppure anche “guarito”, e se ciò equivalga a dire “immune” e/o “non più contagioso”: in realtà non vi è alcuna certezza al riguardo e ciò in parte spiega come in molte nazioni che vantano un gran numero di “recovered” l’epidemia mantenga un alto tasso di contagio e di crescita di nuovi contagiati: è evidente che aver prodotto un gran numero di “dimessi precoci” non ha affatto diminuito l’espansione del contagio, pur avendo evidentemente liberato posti letto e terapie intensive.
Nel mondo, al 31 luglio 2020, risultano colpiti 215 paesi: 133 contano meno di 10.000 casi, 82 ne hanno più di 10mila. Di questi solo 3 denunciano più di 1 milione di casi (Usa, Brasile, India), 21 nazioni hanno tra 100mila ed 1 milione di casi, tra cui tutti più grandi paesi europei, Italia compresa, e le rimanenti 58 nazioni sono comprese nella fascia tra 10.000 e 100.000 casi di contagio cumulati.
La scienza medica non ha al momento definito un protocollo terapeutico per curare il Covid19 che sia stato testato e riconosciuto ovunque, quindi in ogni paese si è proceduto con una serie di approcci terapeutici i più diversi, basati sull’intuito, l’abilità e l’esperienza dei medici che man mano hanno dovuto affrontare il contagio; la definizione di un vaccino che possa essere operativamente e massicciamente utilizzato su grande scala è in corso e sta procedendo con la massima rapidità possibile; sembra ragionevole dover attendere per questo passaggio, che avvicinerebbe decisamente la soluzione al problema ancora un lasso di tempo tra 6 e 12 mesi.
I dati utilizzati in questo articolo sono stati registrati quotidianamente basandosi sul “consensus” di alcuni grandi siti di aggiornamento dei dati (in particolare i siti della JOHNS HOPKINS UNIVERSITY, di WORLDOMETERS e di STATISTISCHECORONAVIRUS, www.systems/jhu/edu; www.worldometers.info; www.statistichecoronavirus.it) e confrontati con le statistiche dell’O.M.S e con altri fonti pubbliche, che di fatto rappresentano, sia pure, in modo erratico, a volte contraddittorio e male aggiornati, l’unica fonte di dati globali affidabili a livello nazionale.
Ovviamente ciò significa attribuire la stessa attendibilità a dati forniti da nazioni che si caratterizzano per tradizioni culturali, politiche e di trasparenza, assai diversi; al lettore lasciamo il compito di diffidare o meno, e in che misura, di alcune statistiche che sembrano non essere pienamente affidabili.
Un ultima osservazione preliminare riguarda il fatto inoppugnabile che, in mancanza di presidi clinici e terapeutici certi ed in mancanza di mezzi profilattici, l’unico sistema di contenimento del contagio è stato di tipo sociale, il cosiddetto “lockdown” che ha indubbiamente funzionato nei paesi che lo hanno applicato tempestivamente, con determinazione e con una forte adesione popolare – e tra questi paesi sicuramente va annoverata l’Italia, insieme alla Germania, l’Austria, la Svizzera, la Cina, il Giappone e la Corea del Sud, mentre non ha funzionato nei paesi che non ci hanno creduto o sono stati anzi politicamente ostili ad adottarlo (UK, USA, Brasile e altri) oppure in quelli che di fronte ad una discreta resistenza della volontà popolare sono stati assai attendisti e sostanzialmente inermi fino a raggiungere numeri epidemici non più gestibili. Caso a parte è la Svezia, che basandosi su un dato reale e concreto relativo alla bassa densità demografica (22 ab per kmq) che caratterizza il grande paese scandinavo (solo 10 milioni di abitanti in un territorio grande 1,5 volte l’Italia) ha deciso di affrontare la pandemia senza alcuna misura di contenimento e distanziamento sociale; potendo contare su un efficiente sistema sanitario, ritenuto in grado di affrontare grandi numeri di contagiati, e tentando di evitare la paralisi economica che il lockdown ha quasi ovunque inevitabilmente comportato. Si può ormai dire che per quanto la scommessa svedese fosse razionale e ragionevole, e che sicuramente il sistema sanitario ha contenuto la mortalità in modo efficiente, il fatto che nei prossimi giorni il paese scandinavo supererà il numero di contagiati registrato in Cina, dove la pandemia si è sviluppata, deve portare a pensare che la scommessa sia stata persa.
Sin dalle prime settimane di febbraio, quando l’epidemia ha cominciato a diffondersi in Europa, fino a gennaio era stata infatti relegata esclusivamente ad un paio di provincie cinesi, abbiamo organizzato la raccolta dei dati, per nazione, in un Panel strutturato in 5 clusters:
– TOP EUROPE (ITALIA, FRANCIA, GERMANIA, REGNO UNITO, SPAGNA), con una popolazione aggregata pari a circa 324,2 milioni di persone;
– MID EUROPE (SVIZZERA, PAESI BASSI, AUSTRIA, PORTOGALLO, SVEZIA), con una popolazione aggregata pari a circa 55,1 milioni di persone;
– FAR EAST (CINA, GIAPPONE, COREA DEL SUD, INDONESIA, FILIPPINE), con una popolazione aggregata pari a circa 2.001,2 milioni di persone;
– AMERICA (USA, BRASILE, MESSICO, PERU’, CILE), con una popolazione aggregata pari a circa 725 Milioni di persone;
– ASIA (RUSSIA, INDIA, IRAN, TURCHIA, SAUDIARABIA), con una popolazione aggregata pari a circa 1.734,3 milioni di persone.
Complessivamente quindi il nostro panel registra lo sviluppo della pandemia in 25 nazioni che rappresentano complessivamente oltre 4,8 Miliardi di uomini e donne, comprende 13 delle prime 15 nazioni per numero di contagiati, in cui solo nelle ultime settimane si sono inseriti, con forte crescita, Sudafrica e Pakistan, al momento non ancora inclusi nel panel.
Questo lavoro è iniziato in modo abbastanza casuale, solo per farsi un idea di che cosa stesse davvero succedendo nel mondo, a partire dal 17 febbraio 2020, quando era ormai chiaro che il caso del coronavirus COVID 19, non era più un problema esclusivamente cinese, e cominciando a prendere nota dei casi denunciati in Europa nei principali cinque: Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna.
“Sulla base delle registrazioni del sito della John Hopkins University, il 17.02.20202 la Germania segnalava 16 casi di contagio, alcuni ancora solo sospetti, la Francia 12, il Regno Unito 9, l’Italia 3, la Spagna 2.
Nella stessa giornata, la Cina comunica di aver già ampiamente superato i 72.000 casi di contagio, di cui oltre 60.000 localizzati nella provincia dell’Hubei, il cui capoluogo è Wuhan, considerato ovviamente l’epicentro dell’epidemia.
L’Hubei è una provincia di circa 65 milioni di abitanti, Wuhan una città di circa 11 milioni di abitanti: Hubei rappresenta quindi un entità demografica del tutto paragonabile a Francia, Italia e Regno Unito, che hanno pressapoco la stessa popolazione, mentre la Germania è considerevolmente più popolosa.
Wuhan, come molte altre città cinesi di oltre 10 milioni di abitanti, non è una località particolarmente nota agli europei, ma è un importante centro industriale, è sede universitaria, vi hanno sede molte imprese che lavorano per l’estero e molte filiali o uffici di aziende straniere e a fine 2019 ha ospitato i Mondiali Militari, un importante manifestazione sportiva multidisciplinare che ha potato nella città cinese atleti di ogni parte del mondo.
E’ quindi ipotizzabile che vi siano da tempo interscambi e contatti tra europei ed abitanti dell’Hubei e che quindi il contagio possa aver interessato cittadini europei e cinesi in viaggi o in trasferta nelle diverse nazioni, anche e soprattutto prima che le autorità cinesi prendessero atto della reale portata della situazione e attuassero severe misure di isolamento e contenimento.
Al momento, e nemmeno successivamente, nessuno ha mai messo in dubbio che l’epidemia di coronavirus abbia potuto aver origine in posti diversi dalla Cina e dall’Hubei.
Sulla base di una ragionevole conoscenza dell’entità degli interscambi economici, commerciali, ma anche culturali, turistici e di studio tra i principali paesi europei e la Cina in generale e la regione di Hubei in particolare, non sembra difficile pronosticare che eventuali casi di trasmissione del contagio dalla Cina dovrebbero significativamente riguardare soprattutto Germania, Regno Unito, Francia e Italia, quanto meno l’Italia settentrionale, senza peraltro trascurare i paesi scandinavi, i Paesi Bassi, la Spagna, la Svizzera, che pure attivano significativi interscambi, per non parlare degli Usa, delle altre grandi economie del Far East, in primis Giappone e South Korea.
Questi dati di fatto evidenti, come la probabile importanza degli interscambi, su scala dimensionale comparabile, e la dimensione demografica altrettanto ragionevolmente simile e comparabile, ha suggerito l’idea di osservare con particolare attenzione, in termini quantitativi, lo sviluppo dell’epidemia di origine cinese in Francia, Regno Unito, Italia e Germania, Spagna, senza una particolare aspettativa al riguardo, se non l’attesa di una probabile distribuzione simile, sulla base della presenza di efficienti sistemi sanitari e di rilevazione dei dati epidemiologici attesi.”
Questo scrivevo il 17 febbraio 2020… poi le cose sono andate ben al di là di qualsiasi previsione.
Pur non avendo nessuna competenza specifica per improvvisare analisi epidemiologiche, si è inteso qui fare una collezione di dati nazionali, cercando di superare la passione dimostrata dalle varie stampe nazionali per i casi locali, provinciali e regionali, e costruire una visione d’insieme sovranazionale per aree comparabili, in modo da poter procedere nel medio periodo ad approntare uno schema di proiezioni del trend, in termini di espansione di numeri all’interno di un sistema in sviluppo ad alta entropia, esattamente come se, invece di casi di contagio, si stesse trattando di numeri che si riferiscono alle quotazioni di borsa di un certo numero di titoli o indici, alla rilevazione di temperature medie in più territori, alla vendita di articoli in un punto vendita, alla dinamica di fatturato mensile di differenti aziende.
Tale approccio permettendo un costante monitoraggio in varie parti del mondo avrebbe potuto permettere di valutare come, in termini esclusivamente numerici, l’epidemia si sarebbe potuta sviluppare in nazioni diverse, caratterizzate da sistemi politici, sanitari differenti, come avrebbe impattato sulle economie, come avrebbe potuto interferire con gli interscambi economici e dove e come si sarebbero adottate misure sociali di contenimento, considerando che la scienza medica era del tutto impreparata ad affrontare un nuovo virus capace di una formidabile velocità di espansione.
Dopo sette mesi di sviluppo dell’epidemia, i principali dati epidemici, nei 25 stati messi man mano sotto osservazione, si possono riepilogare nella seguente tavola 1, in cui, per ogni cluster, vengono riepilogati i Casi Cumulati di Contagio al 31.07.20, confrontati al 30.06, con la Media di Nuovi Casi Giornalieri, il Tasso di Espansione % dell’ultimo mese; i Casi Cumulati x 1000 abitanti; i Morti Cumulati; i Guariti Cumulati ed i relativi Tassi % sul Totale Contagiati; infine sono riportati dati aggiornati di Tamponi Eseguiti per milione di persone. In questa logica, assolutamente non medica è evidente che 1 caso di contagio può avere solo 3 esiti: restare attivo (positivo), morto o guarito.
Tavola 1.
Leggendo con attenzione i numeri cumulati riferiti quindi all’intera epidemia, da Gennaio, si deve notare che in termini di Mortalità, spiccano, in negativo i risultanti particolarmente pesanti di Francia, Regno Unito, Italia, Olanda, Messico, unici a superare un Tasso di Mortalità oltre il 10% nelle 25 nazioni analizzate dal nostro Panel. In Europa ha un dato pessimo anche il Belgio.
Di bassissimi Tassi di Mortalità possono sicuramente vantarsi i sistemi sanitari dei paesi di cultura tedesca in Europa, i paesi del Far East, il Portogallo e apparentemente anche i paesi asiatici in generale e quelli americani.
In termini di Tassi di Guarigione eccellono Germania, Austria, Svizzera, i grandi paesi del Far East, l’Italia, che dopo una lunga rincorsa ha raggiunto tassi importanti, e apparentemente Cile, Turchia, Iran, Arabia Saudita.
Il Tasso ufficiale di Attività resta pericolosamente alto in Uk, Svezia, Olanda, soprattutto grazie alla non contabilizzazione ufficiale dei guariti, mentre appare basso in paesi dove il contagio cresce a tassi quotidiani enormi come in Usa, Latinoamerica e Asia cosa che conferma il sospetto che vengono classificati come “recovered” molti casi di “dimessi” ancora “contagiosi”, cosa che coinvolge purtroppo anche la Spagna, che al momento sembra aver perso il controllo della contabilità del contagio.
Particolarmente inefficiente la Sanità francese in termini di valutazione congiunta di mortalità e guarigione, mentre al contrario particolarmente efficiente sembra il sistema sanitario tedesco, austriaco, svizzero, cinese, coreano e giapponese.
Si tenga presente che nella tavola 1 sono recepite le costanti revisioni dei numeri ufficiali dei contagi che si sono susseguite in Francia, Spagna, UK, Messico, che ne hanno comunque aumentato la confusione e l’attendibilità; così come resta molto discutibile e censurabile la scelta di UK, Olanda e successivamente Spagna e Svezia di non mantenere un aggiornamento accurato e credibile dei loro casi di guarigione. Tra le grandi nazioni europee solo in Germania e Italia i dati ufficiali hanno resistito alle revisioni e sembrano ragionevolmente consolidati.
Altrettanto affidabili o comunque coerenti sembrano i dati delle grandi nazioni del Far East, come Cina, Giappone e Sud Korea, cosi’ come quelli di Indonesia e Filippine, che sono state colpite dopo un consistente lasso di tempo ed hanno ormai superato le nazioni vicine.
L’ultima colonna a destra della Tavola1, dedicata al numero cumulato di test (tamponi) eseguiti per milione di abitanti, contribuisce a spiegare molte dinamiche che nei grafici successivi saranno evidenti.
Affidabili anche se disastrosi sembrano i numeri provenienti da Usa e dalle altre nazioni latinoamericane.
Anche in Asia i dati sono man mano confermati con coerenza, anche se desta qualche perplessità la mortalità estremamente contenuta confermata in India, Russia, Arabia Saudita, Iran e Turchia
Al momento nessuna buona notizia definitiva proviene dalla scienza medica: continuano a non esserci protocolli terapeutici certificati e sono ben noti i tempi lunghi richiesti dalla messa a punto di vaccini: è sempre più evidente che nel caso di una ripresa della virulenza del contagio nei paesi che sono riusciti a contenerlo cioè solo in Europa e nel Far East, non si avrà altra alternativa che tornare a rigidi protocolli di lockdown.
La crisi economica si diffonde e si consolida con grande impatto praticamente ovunque ed il blocco o la consistente riduzione di consumi in molti aree geografiche e di business sembra destinata a continuare per molti mesi.
In una economia globalizzata e fortemente interconnessa, abbandonando strane idee e nostalgie autarchiche, che non resisteranno alla prova dei fatti, le uniche aree al momento in grado di ipotizzare un consistente percorso di rientro nella normalità sembrano essere limitate ad alcune aree europee, soprattutto l’area DACH, allargata agli altri paesi di cultura tedesca ed il Far East più sviluppato.
Nella nostra analisi per cluster sono state ampiamente trascurate, finora, due aree geografiche, l’Est Europa ed i Balcani in generale, dove i dati si sono mantenuti piuttosto bassi, e forse poco attendibili e l’Africa, dove l’epidemia è arrivata sicuramente in tempi successivi e forse non notata, vista la disastrosa situazione sanitaria abituale: la forte crescita registrata nell’ultimo mese dal paese più evoluto della regione, il Sudafrica, deve indurci a rilevare ed analizzare un nuovo cluster destinato al continente nero.
Lo strano senso di sollievo che viene in Europa tramesso dai massmedia, che può essere comprensibile ed consolatorio, può essere contraddetto dalla effettiva ripresa dei numeri di contagio che si misura nelle settimane successive all’abbandono dei lockdown, anche se su dimensioni ancora decisamente più contenute; segnali simili negli ultimi giorni arrivano da paesi che sembravano aver brillantemente affrontato il problema come il Giappone e Israele.
Nel continente americano la situazione è desolante, con Usa e Brasile fuori controllo, mentre qualche segnale di contenimento arriva, paradossalmente da Messico, Cile e Perù. Lo stesso vale per l’Asia, compresa la Russia, che sta contenendo solo ora l’espansione del contagio su tassi più contenuti; fuori controllo in India, molto preoccupante nei paesi arabi, con l’eccezione della Turchia, che sembra aver parametri più simili agli europei.
In termini quindi di una valutazione dei tempi di ripresa del Commercio Internazionale, soprattutto al di fuori delle commodities, quindi per i beni di maggior valore aggiunto che interessano all’export italiano, i tempi di ripresa devono essere realisticamente ipotizzati ancora come molto lunghi, considerando il fatto che nel mondo, al contrario di Europa e Far East, il tasso di espansione del contagio sta accelerando e non riducendosi.
Se è del tutto ovvio aver costruito i cluster dei grandi paesi europei, del Far East, americani ed asiatici, il cluster che abbiamo nominato “Mid Europe” richiede qualche spiegazione.
Era infatti interessante, da un lato, definire un gruppo di paesi di piccola dimensione, con caratteristiche economiche, politiche ed istituzionali differenti, per vedere se si poteva notare qualche sostanziale differenza rispetto ai trend registrati nei grandi paesi europei; dall’altro è stato il tentativo di spiegare il disastroso andamento sanitario della Lombardia, considerata, probabilmente a sproposito, la più efficiente sanità regionale italiana.
Nella tavola 2 quindi insieme ai dati delle nazioni inserite nel cluster Mid Europe sono stati indicati anche quelli della Lombardia, alle quali è demograficamente paragonabile, che mostrano semmai come la sanità lombarda sia stata particolarmente inefficiente, impreparata e inadeguata a gestire un epidemia, nonostante il volume di spesa enorme che la regione dedica al capitolo sanità.
Tavola 2.
La tavola 2 è sufficientemente eloquente e comporta che qualcuno, prima o poi debba essere chiamato a rispondere politicamente, non giudiziariamente, di tale penoso risultato e deve porre il problema se abbia senso che i baracconi regionali, abitualmente responsabili di una enorme dissipazione di risorse debbano ancora avere la responsabilità della gestione sanitaria in Italia.
Se infatti la Lombardia ha prodotto questi risultati ci si deve chiedere cosa avrebbe potuto succedere se analoghi focolai epidemici si fossero registrati in altre regioni italiane, caratterizzate normalmente da una gestione complessiva ancora più fallimentare, sprecona e inaccettabile.
Stampa e televisione italiana hanno diffuso a lungo l’idea che il nostro fosse il paese maggiormente colpito dal virus, per una immancabile reazione di tipo “chiagni e fotti” già tutta orientata a mendicare aiuti europei a tutti i costi e al di là di qualsiasi senso di decoro nazionale.
Ciò risponde a verità esclusivamente per il mese di marzo 2020, cioè il primo mese di attenzione popolare e politica, che ha portato, il 18.03 ad attivare un sistema di lockdown.
La tavola 3 aiuta rimettere in un’ottica corretta quanto successo nei primi sette mesi dell’epidemia, almeno per quanto riguarda le 25 nazioni comprese nei nostri 5 clusters di analisi.
Tavola 3.
In Gennaio e Febbraio la Cina è stata il paese più colpito, in Marzo i paesi più colpiti sono stati gli Usa e in Europa l’Italia.
Già in marzo i numeri negli Stati Uniti avrebbero dovuto comportare l’adozione di rigorose misure di contenimento e prevenzione e sono stati colpevolmente sottovalutati: in questo tragico errore non possono essere sottovalutati gli atteggiamenti idioti assunti da un presidente ridicolo, così come per le mancate e intempestive reazioni dei sistemi sanitari inglese e brasiliano qualche responsabilità la portano i rispettivi leaders.
In aprile Regno Unito, Spagna e Francia hanno avuto molti più casi dell’Italia e negli Usa l’epidemia esplodeva con oltre 800mila casi, mentre più di 100mila casi si registravano in Turchia e Russia.
Contemporaneamente diventava visibile lo straordinario successo dell’azione di contenimento messa in campo in Cina, Giappone e Sud Korea.
In maggio il Regno Unito è decisamente il paese più colpito d’Europa con il doppio dei casi spagnoli ed il quadruplo di quelli registrati in Italia, Francia e Germania; continua l’esplosione in Usa, cui si aggiungono i fortissimi incrementi in Brasile, Perù, India e Russia, dove nonostante forti misure ufficiali di contenimento, i dati permettono di leggere la sostanziale non adesione popolare alle prescrizioni.
In giugno crollano i casi di contagio in tutta Europa, fatta eccezione per UK e Svezia, dove l’epidemia continua con vigore, così come non rallenta in Usa, Brasile, Messico, India, Russia, esplode in Arabia Saudita e si mantiene elevata in Iran.
In luglio si registra una ripresa dei casi in Europa se confrontati a giugno in tutti i paesi dove si sono concluse le prescrizioni di lockdown e si riprende la vita normale: questo significa che nei prossimi mesi il contagio continuerà a riprendersi e non è da escludersi la necessita dottare nuovamente misure di lockdown, soprattutto se dalla ricerca medica non vi saranno buone notizie e novità entusiasmanti.
Crescono ulteriormente i già pessimi numeri di Usa, Brasile e India che non sembrano al momento in grado di controllare l’epidemia, visto il costante aumento degli attivi, nonostante la produzione di numeri eclatanti di “recovered”.
Si registrano significative flessioni in Turchia e finalmente in Russia.
In realtà l’Italia a fine luglio è la terza nazione europea per contagi (dopo Regno Unito e Spagna), mentre la Germania è la quarta e la Francia la quinta, con un livello di contagio analogo per ordine di grandezza.
A livello mondiale è la quindicesima, mentre la Cina è ormai la ventinovesima.
Nelle successive tavole 4, 5, 6, 7 e 8 sono riportati i grafici che permettono una lettura sintetica, ma chiarissima di quanto successo nei primi 7 mesi del 2020 nei 5 clusters analizzati e che permettono anche ad ogni lettore di farsi un’idea sulla probabile evoluzione nell’area a breve termine, nei prossimi mesi.
Tavola 4.
Tavola 5.
Tavola 6.
Tavola 7.
Tavola 8.
Dopo l’estate vedremo di fare un nuovo punto della situazione, augurandoci che si possano riscontrare miglioramenti concreti ovunque, perché se è vero che questa è un epidemia caratterizzata da un tasso di espansione del contagio velocissimo, vorticoso e difficile da controllare, è anche vero che è caratterizzata da un tasso di mortalità non terrificante, se viene gestita da sistemi sanitari evoluti, efficienti ed adeguati, ma soprattutto è un epidemia in grado di paralizzare il sistema economico mondiale, creando danni economici addirittura maggiori di quelli sanitari.
Devi fare login per commentare
Accedi