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Netflix, miti e debolezze del gigante che arriva in Italia
La notizia è di ottobre: nel 2015 Netflix, il servizio di streaming video leader a livello mondiale, dovrebbe finalmente arrivare in Italia. La company di Los Gatos (California) avrebbe infatti avviato la ricerca di figure professionali che conoscono la nostra lingua, presumibilmente per localizzare la propria piattaforma web e i contenuti (film e tv show). Sino a oggi il nostro Paese era rimasto fuori dal piano di espansione europea, per una serie di cause che vanno dall’alto tasso di pirateria alla scarsa diffusione del Broad Band, sino alla presenza di player già ben posizionati nel mercato della Pay-Tv (Sky e Mediaset Premium).
Le origini di Netflix: il lancio del rental by mail. La vicenda di Netflix affonda le radici nell’epoca in cui l’home video era ancora essenzialmente dominato dal supporto Vhs e dalla Tv via cavo. Nel 1997 un gruppo di informatici fonda una company che guarda al business del cosiddetto pay per rental. L’idea è quella di organizzare la distribuzione postale di supporti audiovisivi, dando così un’alternativa alle classiche attività di videonoleggio. Blockbuster è in quegli anni in forte ascesa: la videocassetta si è affermata rapidamente come la modalità privilegiata dagli americani per la visione domestica dei titoli cinematografici. Ma il modello di espansione applicato da “BigBlue” è basato su una rete di punti vendita estremamente costosi sotto il profilo gestionale. Blockbuster infatti fonda la propria idea di servizio sulla presenza di personale in store e promette profondità di prodotto alla clientela, che è abituata a noleggiare soprattutto le novità e vuole trovarle a disposizione quando va in videoteca. Più che questo o quel titolo, viene venduta la “Blockbuster Night”, un formato che diventa di grande successo, perché ricalca le modalità del drive in: l’idea di andare da Blockbuster, scegliere a parete il titolo da vedere, acquistare food and beverage, e passare una serata in famiglia o con gli amici, a un prezzo estremamente competitivo rispetto a una proiezione in sala. Si sviluppa anche un’agguerrita concorrenza sul territorio, con altre catene di entertainment che offrono un assortimento competitivo rispetto a quello di Blockbuster, provando a essere aggressive sul prezzo (dove invece BigBlue è altospendente, proteggendo così i propri costi gestionali). Anche in Europa, le videoteche crescono negli Anni Novanta a grande velocità. Rispetto agli Usa, un driver del mercato è il prodotto hard-core, che genera la necessità di soluzioni che evitino l’ “imbarazzo” dal passaggio in cassa. Il problema viene risolto in Italia, dove alcune ditte specializzate in automazione della distribuzione di prodotti destinati al largo consumo brevettano soluzioni modulari che consentono, grazie a semplici applicativi software, di prelevare e restituire direttamente il prodotto, e in breve diventano leader mondiali di mercato in questi sistemi (la produzione si concentra soprattutto nel Veneto, dove operano Videosystem e Riello Technoware), le due aziende più importanti e innovative. In Nord America si guarda invece a soluzioni che evitino il disagio di dover riportare il film in videoteca dopo averlo visionato. Non è un mistero infatti che gran parte della marginalità di Blockbuster è generata dalle penali legate alle riconsegne. Ma quello che è un volano per il fatturato col tempo si rivela un boomerang, perché abbassa sensibilmente la soddisfazione del cliente. É in questa fase che nasce Netflix, grazie all’intuizione di Reed Hastings, ex docente di matematica e programmatore, che reinveste nella nuova società i proventi di una softwarehouse, e del suo socio, Marc Randolph, che ha sviluppato alcune soluzioni innovative per la gestione dei mail order. C’è una leggenda metropolitana che la dice lunga sulle ragioni della genesi di Netflix: Hastings un mattino si presenta in un negozio Blockbuster a riportare Apollo 13, che ha finito di vedere la sera prima di averlo lasciato una settimana sopra il televisore. E va in tutte le furie quando lo costringono a pagare 40 dollari per il ritardo. Quel giorno prende forma l’idea di un servizio dove non esistano multe, e si paghi solo il reale consumo, con regole certe e un sistema di presa e consegna del prodotto demandato al gestore. Alla start-up lavorano trenta risorse interne: sembrano poche, ma ancora oggi, 17 anni dopo, i dipendenti della company di Los Gatos sono meno del doppio. A due anni dal lancio del servizio, nel settembre 1999, viene introdotta quella che si rivelerà la carta vincente: una tariffa mensile, legata alla possibilità di effettuare un numero di noleggi illimitati. Il mercato Dvd in quel momento è alla start-up, l’evoluzione del supporto viene accolta molto positivamente dai consumatori, e il prodotto è diventato molto più semplice da spedire, a tutto vantaggio del rental by mail.
Nel 2000 Blockbuster, che ha scelto di non sposare la distribuzione automatica e di non noleggiare film a luci rosse, comincia a guardare con interesse alla società di Los Gatos, e viene intavolata una trattativa per l’acquisizione. Hastings chiede però 50 milioni di dollari, che il gruppo di Dallas considera troppi. E così, alla ricerca di nuova liquidità con cui crescere, Netflix mette sul mercato parte del proprio stock. É una fase estremamente delicata, con una serie di trimestrali tutte in perdita, interrotte nel 2003, quando arrivano i primi profitti. Ma l’attenzione degli investitori determina la necessità di darsi un business plan più rigoroso. Hastings non sembra particolarmente tagliato per il mondi della finanza: più volte Netflix viene richiamata e e sanzionata perché il Ceo sul proprio blog svela le nuove strategie senza prima averne dato comunicazione al mercato. Intanto la library ha raggiunto i 35mila titoli, anche grazie alla ormai completa affermazione del Dvd, che consente di superare i costi dell’acquisto del doppio formato. Nel 2005 Netflix noleggia ormai un milione di pezzi al giorno.
L’introduzione dello streaming. La diffusione delle connessioni a Banda Larga nel frattempo sta però mettendo in difficoltà il mercato home video. La disponibilità on line di film e Tv show in violazione della normativa sul diritto d’autore diventa un fenomeno a crescita esponenziale. Quasi in tutti i territori dove l’audiovisivo è un consumo domestico radicato, il 2007 è l’ultimo anno in cui il settore fa segnare una crescita pronunciata. Poi i volumi dei Dvd si stabilizzano e in determinate aree a forte incidenza della pirateria informatica cominciano drasticamente a decrescere. Spagna, Italia, America Latina fanno segnare le perdite più sensibili. Presto le catene di videoteche che offrono un servizio assistito da personale entrano in crisi. Un altro elemento di fragilità è la metratura delle superfici di vendita. Per provare a ridurre i costi gestionali, sulla falsariga di quanto avvenuto in Italia con le gallerie di distributori automatici, negli Usa ci si inizia a muovere verso soluzioni stand-alone (non cioè all’interno delle mura del videoshop, come avviene invece da noi). A registrare il maggior successo in tal senso sono i chioschi automatizzati a marchio Redbox, che consentono, grazie a una presenza molto capillare sul territorio, di prelevare e consegnare il prodotto in punti diversi, magari andando o uscendo dal lavoro. Più comodo di un Blockbuster, insomma. E meno macchinoso del sistema del rental by mail, che deve peraltro sottostare alle progressive razionalizzazioni del servizio postale americano, a partire dalla sospensione delle consegne il sabato, giorno che rappresenta uno dei picchi in termini di numero di titoli noleggiati. Mentre il declino delle videoteche “brick-by-mortar” appare inesorabile, in molti considerano Coinstar, la company di Duluth (Minnesota) che gestisce i chioschi Redbox, più attrezzata di Netflix per cogliere l’eredità di Blockbuster. Ma il 2007 è anche l’anno in cui Los Gatos affianca al servizio originario un’offerta di prodotto veicolato in streaming. Sembra soprattutto una soluzione studiata per arrivare dove le poste ci mettono troppo tempo. La pirateria in Rete però continua a espandersi e le strategie degli Studios hollywoodiani cominciano a guardare al noleggio del supporto fisico come a un business in declino e a ragionare su di un modello sostenibile di distribuzione digitale legale. Per molti anni il rental tradizionale ha garantito marginalità molto alte, in ragione del costo dell’acquisto della copia da noleggio da parte delle videoteche (In Italia si è arrivati anche a superare le 100mila lire); la copia digitale è certamente più comoda da noleggiare del supporto fisico, ma c’è un problema di prezzo percepito. Mettere tanti titoli in versione rental elettronico, come propongono i primi eshop, vuol dire aspettare il momento in cui le microtransizioni saranno riuscite a fare massa critica (e ciò non avverrà sino alla diffusione di iTunes). In prospettiva i deal che Netflix è in grado di offrire per la licenza di sfruttamento del prodotto sulla propria piattaforma di streaming permettono di incassare da subito una cifra molto alta, superiore anche a quella offerta dalla free Tv. E nel sistema delle finestre di sfruttamento del prodotto, i servizi on line accettano senza resistenze di venire dopo la sala cinematografica, il Dvd, la Pay-Tv, mentre Redbox punta ad avere i titoli in contemporanea alle videoteche tradizionali.
Due servizi, una tariffa. Grazie alla doppia offerta rental by mail/streaming, Netflix acquisce sempre più una posizione di forza: nel 2010 diventa il cliente a crescita più rapida del servizio postale Usa e nello stesso tempo è anche la voce di ricerca più ricorrente nel traffico Internet la sera. Dopo aver scorporato il servizio di SVOD (subscription video on demand) dal noleggio via posta, i manager californiani progettano di creare uno spin-off a cui affidare in toto la gestione dei Dvd, e fondano Qwister. La clientela però teme di dover pagare più di prima e nell’ottobre 2011 Netflix annuncia di aver abbandonato l’idea di uno scorporo della propria attività “storica”. In quel mese, ha infatti registrato la perdita di 800mila abbonamenti, quasi tutti sorprendentemente legati al successo che continua a mantenere la possibilità di poter fruire con un’unica tariffa di due diverse modalità di accesso ai contenuti.
La consapevolezza di dover tutelare anche il business del noleggio su supporto spinge Hastings a Washington: assieme ad altre realtà aziendali che vogliono ottenere una maggiore tutela della proprietà intellettuale, Netflix dà vita a un comitato d’azione politica denominato Flixpac. L’iniziativa non ha troppo successo: una forte attività di lobby in tal senso è già esercitata dalle major cinematografiche attraverso la Motion Picture Association of America. E l’essere identificata come una company nata nella Rete che si batte per una limitazione dei diritti degli utenti del web determina presto un’insofferenza verso Netflix da parte degli attivisti di diverse sigle libertarie, a partire da Anonymous, che invita i propri supporter a boicottare il servizio di SVOD.
La produzione dei contenuti. L’altro fronte caldo nel 2011 è quello delle licenze. Nel 2008, poco dopo il lancio della propria piattaforma di streaming, Los Gatos ha stretto un’alleanza con Starz Entertainment, per l’acquisizione di circa 2.500 titoli, tra film e Tv show. Ma la necessità di allargare la propria library ha prodotto nel 2010 un accordo con Paramount, Lionsgate e Mgm, dal valore complessivo di 1 miliardo di dollari, in virtù del quale la company californiana si è assicurata i diritti quinquennali sui cataloghi dei tre Studios. Pur alla luce della continua crescita del parco-utenti, il costo di questi deal ha cominciato a sbilanciare pericolosamente i conti, anche in considerazione dell’impossibilità di ritoccare sensibilmente le tariffe di abbonamento (che all’epoca sono di 7,99 dollari mensili tanto per il rental by mail quanto lo streaming). Con l’obbiettivo di limitare soprattutto le spese, a partire da marzo 2011 Netflix ha allora deciso di produrre contenuti in house, con i risultati che tutti conoscono, da House of Cards a Orange is the new black, sino a Lilyhammer e Hemlock Grove. Difficile dire sino a dove si sia trattato di una strategia difensiva e quanto invece il successo di HoC sia stato pianificato da lontano, come parrebbe suggerire il ricorso per la regia a David Fincher. L’unica certezza è che il primo settembre 2014 Starz ha annunciato di non voler rinnovare il deal di Netflix, e che dunque a partire da marzo 2012, quando la partnership è venuta meno, il costo dei contenuti appare più bilanciato tra acquisizioni e prodotto costruito in casa.
Netflix in Europa. Il resto è storia recente, a partire dall’internazionalizzazione delle attività di cui dicevamo all’inizio. Nell’autunno di quest’anno Netflix ha fatto ingresso nei mercati di Germania, Francia, Svizzera, Austria, Belgio e Lussemburgo. A oggi si tratta dell’ultimo tassello di un’espansione cominciata dal Canada nel 2010 e proseguita con grande successo nella primavera del 2011 in America Latina, dove le tariffe flat hanno fatto subito breccia in un pubblico tradizionalmente disposto a spendere poco per l’entertainment. In Europa la strategia di penetrazione ha privilegiato i territori dove l’infrastruttura di Rete fosse più sviluppata e il tasso di pirateria sotto il livello di guardia. Paesi scandinavi dunque, e poi Olanda, Uk e Irlanda. Di contro, a oggi, nonostante disponga già di prodotto localizzato, Netflix non ha mostrato interesse per la Spagna, così come per Grecia, Portogallo e Balcani, mentre l’ingresso in Australia e Nuova Zelanda è dato per imminente.
Una trimestrale con sorpresa. Oggi la galassia Netflix consta di oltre 50 milioni di abbonati a livello globale, di cui 36 mln negli Stati Uniti. Ma, a dispetto delle apparenze, si tratta di un ecosistema sempre meno sostenibile. Il terzo quarter 2014 si è chiuso con un netto operativo di 59 milioni di dollari, equivalenti a una crescita anno su anno del 78%. I ricavi sono in crescita del 36%. E il parco utenti registra un incremento di ulteriori 3 milioni di unità, per una proiezione di complessivi 53 mln, un dato a cui mancano ancora i nuovi abbonati dei Paesi in cui la piattaforma è arrivata a cavallo tra settembre e ottobre. Il rental by mail tiene in maniera quasi miracolosa, con ancora oltre 6 milioni di utenti. Ma la reazione dei mercati finanziari a questi risultati è stata pessima, con il titolo che ha registrato una flessione molto forte il 15 ottobre e ha stentato a riprendersi anche nelle giornate successive. A preoccupare gli investitori è soprattutto il fatto che l’incremento di abbonati negli Usa nel trimestre di riferimento è stato di soli 980mila utenti, contro le previsioni che parlavano di 1 milione e 370mila nuove affiliazioni. Questo numero è spiegato con la crescita della concorrenza dei servizi di SVOD di Amazon Prime Instant e Hului, ma anche con l’affacciarsi di competitor inediti, a partire da HBO, che, esattamente come la company guidata da Reed Hastings, ha dalla sua un efficientissimo braccio produttivo (pensiamo solo a True Detective, per far riferimento al successo più recente nel nostro Paese). E poi Los Gatos sembra voler sfidare contemporaneamente più sistemi. Da un lato annuncia di voler programmare nel 2015 l’uscita di film day & date sala/on demand, scatenando l’ira degli esercenti cinematografici statunitensi, che si sono già detti disposti a smontare i titoli qualora Netflix non desista da una strategia che metterebbe a repentaglio l’esistenza delle strutture theatrical. Dall’altro contrattualizza Adam Sandler per produrre una serie di titoli family in esclusiva per la propria piattaforma. E come se non bastasse, chiede sempre più capacità di Banda per il proprio servizio di streaming, e visto che gli ISP statunitensi non sono in grado di fornirne, guarda con interesse alle architetture Peer To Peer, che potrebbero consentirle di superare l’imbuto della la Rete Usa, diventata troppo “stretta” per le sue esigenze.
Se è dunque sempre più probabile che nel 2015 anche l’Italia possa entrare nel mondo della piattaforma di maggior successo degli Anni Dieci, Netflix è però chiamata a capire in fretta come può reggere la sfida di un mercato interno già in fase di saturazione dell’offerta, per non trovarsi in un futuro molto vicino a esser costretta a puntare tutto sull’espansione all’estero, anche dove le opportunità di business non sembrano oggettivamente così interessanti, col rischio di diventare presto un sistema cresciuto in maniera ipertrofica, con costi sempre più alti. Non dimentichiamo infatti che in Europa gli attori dello streaming sono chiamati, come già accade ai broadcaster televisivi, a finanziare le produzioni cinematografiche e a audiovisive locali. Le politiche di Eccezione Culturale, introdotte in Francia con il Governo Hollande, hanno portato ad esempio a un lungo negoziato con Los Gatos. Il ministro della Cultura Aurelie Filippetti ha imposto ai manager californiani di lasciare sul terreno investimenti consistenti. E anche in Italia il lancio del servizio di SVOD dovrà essere oggetto di accordi con il Mibact, che intende imporre non solo quote obbligatorie di sovvenzione alle produzione, ma anche percentuali di programmazione lindata di prodotto locale. Esiste insomma un mercato promettente, ma a condizioni molto più rigide di quelle a cui la piattaforma è abituata. Ecco perché oggi all’occhio dei mercati Netflix non appare più too big to fail . Proprio come accadde a Blockbuster…
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