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Willy Wonka, Le Iene e la fabbrica delle fake news

13 Giugno 2017

Come Willy Wonka e i suoi Umpa Lumpa sfornavano una delizia dietro l’altra, così gli Umpa Lumpa vestiti di nero delle Iene hanno sfornato l’ennesima fake news. I famosi video della Blue Whale erano dei tarocconi e loro ne erano perfettamente a conoscenza.

Non c’è di che stupirsi: se Willy produceva il cioccolato migliore di tutta l’Inghilterra, in quel di Cologno Monzese le Iene producono da anni certe bufale da far impallidire le originali bufale campane.  Basta una rapida ricerca online per trovare un intero campionario di finti scoop su poker online, traffico di armi in Bosnia, gang peruviane, fino al celebre caso delle cellule staminali, di cui in rete è presente un’intera letteratura

Il caso del tarocco sul Blue Whale però è diverso: sia perché diversa è la eco mediatica che il caso ha ricevuto, sia perché  si inserisce nell’incessante dibattito su internet e le fake news.

Per settimane i media ufficiali – con in testa il Corriere della Sera – hanno dedicato al tema decine di video e articoli, che risultavano puntualmente tra i più visti e condivisi.  La domanda sorge dunque spontanea: come mai nessun giornalista si è accorto prima che i video delle Iene erano dei  falsi? Si, perché il fact checking che mette in imbarazzo il programma di Italia Uno e l’Umpa Lumpa autore dello stesso non è opera di un giornalista ma di una pagina Facebook che con il giornalismo ha poco a che spartire (“Alici come prima”) grazie a una semplice ricerca online.

Si crea, quindi, un cortocircuito bizzarro: internet, ovvero quello che da mesi ci raccontano essere il regno delle fake-news, dimostra come il dibattito sulla notizia più discussa delle ultime settimane dalle testate giornalistiche ufficiali nasca in realtà da una fake news prodotta da un autorevole programma televisivo, senza che i media ufficiali – che grazie a views e condivisioni hanno capitalizzato su quella stessa fake news – si fossero preoccupati di verificare le fonti.

Si dice sempre che i big della Silicon Valley e addirittura i governi occidentali debbano prendere provvedimenti per purificare la rete dalle notizie false, accusate di essere la causa di tutti i mali del mondo, dall’elezione di Trump in giù. E infatti da qualche settimana, su Facebook USA è scattata la tolleranza zero: se un sito internet o una pagina facebook sono sorpresi a pubblicare una fake news, vengono bollati come “fonte non credibile” e diventa impossibile condividerne altri contenuti. Ma delle fake news televisive invece, che raggiungono una platea ancora molto più vasta di internet e spesso meno “smaliziata”, chi se ne occupa? Chi tutela i telespettatori?

La risposta dovrebbe essere l’editore, in questo caso Mediaset: la stessa Mediaset che pochi giorni fa ha detto che il celebre videogioco Assassin Creed era in realtà un simulatore di terrorismo dell’Isis.

Oppure, la stessa azienda per cui lavorava tal Fulvio Benelli, il giornalista smascherato da Striscia La Notizia per aver intervistato un figurante che si spacciava ora come estremista mussulmano ora come rapinatore rom.

Forse bisognerebbe invocare la chiusura della stessa Mediaset: ma allora che dire del TG1 che, come Striscia La Notizia mostra da decenni, ha confezionato centinaia di fake news per compiacere il potente di turno, per esempio aggiungendo il pubblico in sala quando nel 2003 Berlusconi parlò davanti a un Assemblea dell’Onu deserta, o taroccando con un applauso aggiunto in post produzione un brutto intervento di Rosy Bindi in una trasmissione Rai quando era Ministro della Salute?

Se in Italia dovessimo chiudere ogni giornale o programma televisivo che pubblica notizie artefatte, se insomma dovessimo applicare alla TV e al giornalismo “cartaceo” lo stesso metro che si vuole applicare alla rete, in breve saremmo costretti ad eliminare la stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione presenti sulla piazza.

Quelle che oggi chiamiamo fake news – e ieri “bufale” o “tarocchi” – sono vecchie come la societa’ di massa: era il 1981 quando Baudrillard diceva che “in TV il vero è un momento del falso”. Se la croce viene buttata solo ed esclusivamente addosso a internet, se oggi si cerca di far passare l’idea che internet sia una minaccia per l’informazione e non una risorsa è proprio per il volere di tanti potentissimi Willy Wonka che per decenni hanno alterato la realtà a loro piacimento o per motivi politici o per motivi economici e che ora vedono internet, perfino una pagina dal nome innocuo come “Alici come Prima”, come una minaccia per il loro business.

Certo, anche su internet ci sono  – e ci saranno sempre – le fake news. Ma e’ solo grazie a internet se certi Umpa Lumpa  possono essere smascherati e confinati, al massimo, nel dominio dell’analfabetismo funzionale.

P.S. Anche Striscia La Notizia ebbe a che fare, suo malgrado, con le fake news. Qualche anno fa si scoprì che i due inviati pugliesi Fabio e Mingo (con Fabio risultato in seguito estraneo alle accuse) avevano usato dei figuranti per realizzare alcuni loro servizi risultati falsi. A differenza delle Iene, “Striscia” li radiò all’istante e poi fece loro causa.

Forse l’unica ricetta possibile contro le fake news e’ questa: non le crociate contro internet ma il senso di responsabilita’ di chi produce contenuti, a prescindere dal medium.

P.P.S. Arriva notizia che questo post e’ candidato al Macchianera Awards 2017 come miglior articolo. Grazie a chi lo ha votato e a chi lo voterà. 

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