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Nel frattempo sono morti i vignettisti, ve ne siete accorti?

18 Settembre 2020

E nel frattempo la vignetta è morta. Con lei, i vignettisti. Morti anch’essi. Una strage, un po’ silenziosa, un po’ inevitabile. Cosa cazzo c’è da ridere, peraltro? Domanda subdola e non più provocatoria come è stato per tutto un tempo lungo. Perché per qualunque cosa, persino le tragedie, si è trovato il modo di ridere. Ridere, sarebbe inutile ripeterlo ma tant’è, è l’azione più rispettosa che si possa immaginare proprio nei confronti degli sventurati, proprio perché, inglobata all’interno di una vignetta, impegna il pensiero, racconta di una profondità, lambisce la parte meno politicamente corretta del pianto generale e collettivo. La vignetta muore quando non fa più ridere nessuno, ma soprattutto quando nessuno la ricorda più.

Altan è morto, con Cipputi e Bisgazzi hanno ampiamente rotto i coglioni qualunque cosa dicano, Ellekappa non pervenuta, una zombie alla ricerca di uno spazio in cui c’è (ancora) vita sul pianeta, Vauro è la sua stessa caricatura, Giannelli un pensionato perbene, Bobo e Staino si sono spenti ben prima che arrivasse il conto a sinistra. Ah, rimarrebbe Makkox, il V.U., Vignettista Unico, che è parte di un regimetto salottiero, ottima pastina glutinata della cattiveria applicata alla politica, che non solo infligge disegni e battute ma le editorializza persino, alla Sergio Romano che risponde ai lettori di Propaganda Live. Finirà come Vauro, di cui si parla tra un minuto.

Può essere che la vignetta sia morta per consunzione naturale e che la pandemia sia stata solo lo strumento necessario per certificarne il decesso. In questo caso, ci troveremmo semplicemente di fronte a una fase nuova della storia, la morte di una cifra stilistica che ha fatto storia, un voltapagina se vogliamo anche doloroso, che sottolinea in modo inesorabile il dislivello tra la vita corrente e il tentativo di farne del sarcasmo. Ma perché proprio adesso, e non per esempio dopo le torri gemelle, i terremoti, gli sconquassi del mondo? Piccolo passo indietro, che non ha nulla a che fare con i dolori.

Qualche vignettista si è autenticamente suicidato, sovrapponendosi alle proprie vignette, sopraffandole con il desiderio d’esser lui la migliore vignetta su piazza. È il caso eclatante di Vauro Senesi, che da un certo momento in poi ha creduto di poter dire delle cose, facendosi didascalia vivente delle proprie creature su carta. Come se non gli fosse più bastato infliggere pene sopraffine ai suoi obiettivi, no, ci si doveva anche parlar sopra, spiegare il mondo, infliggere lezioni di comportamento, impancarsi a maestrino delle nostre povere vite. Si può ricordare allora quel Forattini, che fu sempre uomo di destra e che un intuitivo Scalfari utilizzò a Repubblica. Indiscusso talento della matita, silenzioso e fulminante, fu il re incontrastato della vignetta. Un genio. Poi purtroppo, dopo molti anni parlò. Declinò le sue sensibilità politiche, che spensero immediatamente l’erettile emozione di noi suiveur. Puff, svanito.

Ma tornando ai motivi che hanno portato la vignetta nella tomba. Il senso di cupezza che ci ha avvolto ha forse fatto molto. Il senso di cupezza è molto di più del semplice evento traumatico, è indistinto, strisciante, si insinua nella mente, erode particelle positive, introduce il maledetto sospetto che non te ne libererai più. Soprattutto riduce inesorabilmente la nostra attitudine alla ribellione del pensiero, in cui la vignetta diventa onestamente quasi un di più, riservando la nostra residua forza etica a indignazione più produttive, come le disorganizzazioni sociali, le scuole che soffrono, le magagne del governo, tutto quello che in questo momento sembra frapporsi tra noi e un minimo di serenità sociale. In questa strettoia, la vignetta ha esalato l’ultimo respiro. E non è detto che ritorni.
E allora, che cosa può arrivare? Avete visto Repubblica, qualche giorno fa, che ha messo in prima una grande vignetta color rosso di Biani. Era il giorno della scuola. Biani non usa sarcasmo, piuttosto evoca sentimenti, anche gentili. Se vogliamo è un piccolo ponte per guardare di là. Pur essendo – noi medesimi -tra le persone più cattive che abbiamo mai conosciuto, non ci dispiaceva quel disegno di mamma e bambina.

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