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Vendola e la “Gauche Vegetalien” che benpensa

1 Marzo 2016

In un bel film canadese degli anni novanta “Le Invasioni Barbariche” il protagonista, professore universitario col cuore saldamente a sinistra, malato terminale, ricoverato in un ospedale affollato, alla proposta dei suoi cari di essere trasferito in una più confortevole clinica privata, si oppone sbottando:” Non se ne parla! Ho lottato tutta la vita per la sanità pubblica!”.

Forse da Nichi Vendola qualcuno si aspettava un tasso di coerenza non dico uguale ma  quantomeno simile; perché accedere al libero mercato americano per aggirare un divieto normativo del paese in cui non solo si risiede, ma per anni si è fatto battaglie contro la faccia cattiva del capitalismo in un ruolo politico di primo piano, qualche critica legittima la può sollevare.
La difesa dell’ex Governatore della Puglia, che ha visto progressivamente opacizzarsi il suo carisma tra Ilva e pensioni d’oro cumulate, chiama in causa l’amore (e ci mancherebbe altro), un amore moderno, inclusivo che accoglie anche la mamma naturale del piccolo Tobia Antonio, e delinea i tratti di una famiglia alternativa e potenzialmente migliore di quel feticcio stanco agitato da Giovanardi e compagnia (la famiglia tradizionale appunto).
Difesa necessaria si dirà a fronte di un fiume di insulti beceri piovuti senza tanti distinguo da quella moderna rete fognaria che è il web; difesa assolutamente fuori luogo rispetto a chi ha solo posto dubbi e critiche garbate sull’operazione in se stessa, e magari si è permesso di porre un dito innocente (come quello di un neonato) nella piaga di palesi incoerenze che riguardano il politico prima che l’uomo.
Mentre Vendola parla di legame affettivo consolidato con la mamma di suo figlio, impazzano cifre a cinque zeri che ci raccontano una storia un filino  differente rispetto a questa rappresentazione idilliaca e disinteressata.
L’amore vendoliano evidentemente ha un prezzo e il pretenderne la totale gratuità, visti i toni con cui è stato raccontato, può essere derubricato ad un retaggio cattodem da non tenere in considerazione.
Nell’epoca delle ragioni assolute e delle semplificazioni ci sta pure questa polarizzazione a ben vedere poco lungimirante.
Il post di Vendola (che ha affidato agli stessi social sotto accusa la sua replica), si chiude con una dotta citazione dantesca e subito la solita spocchiosa affermazione, tipica di una certa sinistra incattivita, che tale citazione non fa audience (leggi: tanto la capiranno in pochi…).
E’ bastato questo post a provocare orgasmi proprio in quella certa sinistra benpensante e a far piovere scroscianti applausi  all’iter di questa insolita paternità, identificata senza un dubbio con il “sol dell’avvenire” dei diritti civili.
E’ bastato questo post a far sì che questa versione 2.0 della Gauche Caviar che sarebbe meglio ribattezzare Gauche Vegetalien, innamorata più della tastiera che delle piazze,  più del seitan che degli operai, iniziasse a tacciare (facendo di tutta l’erba un fascio) di insensibilità, adinolfismo strisciante, moralismo, chi non si accodava convinto allo stuolo degli entusiasti e, tra questi, Laura Boldrini ed esponenti di Sel che proprio bestie da Family Day non sono.
Esercitare un dubbio pare essere divenuto un lusso non concesso laddove ci si divide a prescindere in pro e contro, in illuminati ed oscurantisti, per poi però finire, disorientati e confusi, a manifestare in piazza senza sapere ancora se il DL Cirinna‘ vada difeso o affossato.
Uscendo dallo logica da stadio e annesse tifoserie la vicenda di Vendola ci interroga su alcune partite che sarebbe meglio non semplificare ulteriormente.
Se la maternità surrogata fosse legge dello stato italiano, non ci sarebbe nessuna ragione di opporsi a questo diritto, purché suddetta legge prevedesse ampie norme a tutela della donna coinvolta.

Sarebbe a mio avviso più etico però preoccuparsi prima di rendere l’adozione possibile a tutte le coppie in possesso di requisiti.

Per cultura non accederei mai ad un utero in affitto e la mia cultura non è nemmeno lontanamente cattolica ma, al contrario, intrisa fino all’osso di rispetto della donna e del suo diritto alla autodeterminazione, messo sempre in discussione, come accade ancora oggi con l’obiezione di coscienza nell’applicazione della legge 194.

Il mio rispetto per la donna (e il suo corpo) è tale che nemmeno mi accosterei a chiederle di operare una scelta seppur consapevole e in assoluta libertà perché non saprei determinare il confine tra dove finisce il mio desiderio e dove inizia la sua libertà di essere parte così attiva nel realizzarlo. Non ne saprei quantificare preventivamente i costi non certo  economici, ma emotivi,  in capo a lei, al suo futuro, alla sua storia.
Ho sempre provato grande perplessità per coppie che si accaniscono ai limiti dello sfinimento e del deterioramento psicofisico nel tentativo di procreare un figlio proprio.
Un figlio a tutti i costi rischia di spostare pericolosamente l’asticella dell’interesse dal bene del piccolo al presunto bene degli adulti.
Credo e spero che queste domande Nichi Vendola e il suo compagno se le siano fatte per tempo e vi abbiano dato una risposta definitiva che non è quella giusta, non è l’unica, non è universale, ma semplicemente rappresenta la loro risposta.
La risposta cioè di una coppia che di certo si ama, che ha possibilità economiche tali da poter avverare un sogno, che sarà composta da due ottimi genitori e che non merita insulti o giudizi tagliati con l’accetta.
Ma nemmeno merita la gogna mediatica chi si interroga e legittimamente si pone e pone agli altri quesiti che valgono quanto le certezze individuali del padre fondatore di Sinistra Ecologia e Libertà.
Tutta questa rincorsa ossessiva all’istituzionalizzazione (matrimonio, famiglia, figli) costituisce davvero la nuova frontiera della piena emancipazione della comunità gay o invece racconta una storia di una borghesizzazione di un movimento che per anni ha attinto la sua linfa vitale dall’antagonismo a un certo modello sociale?
La libertà di una donna che presta il suo utero non per ragioni economiche e in piena dichiarata libertà ad altri, laddove nel tempo subentrino ripensamenti, come si concilia con la sua potenziale inesistenza come madre da un punto di vista giuridico?
Perché si plaude acriticamente alla paternità acquisita di due uomini come se ciò fosse l’affermazione di un diritto, quando quel diritto ottenuto all’ estero è indissolubilmente legato alle condizioni di reddito di costoro e pertanto non rappresenta un diritto ma un privilegio?
Perché da un politico sedicente di sinistra appare una bestemmia aspettarsi una maggiore aderenza fra vita privata e pubblica, nel rispetto di quel popolo che la California non potrà nemmeno visitarla per una settimana di ferie?
Ma soprattutto perché proprio la Gauche Vegetalien non accetta che per rappresentare qualcosa di più della propria pretesa superiorità morale e intellettuale  bisognerebbe  tornare ad ascoltare e contaminarsi con chi magari Dante pure lo conosce ma non sente l’esigenza irresistibile di citarlo per rinverdire i fasti del Marchese Del Grillo e del sua memorabile: “Io so io e voi non siete un C.”.
Piovono pietre verbali, citazioni, fioriscono pulpiti e tribuni, ma manca, proprio da chi dovrebbe promuoverla, una discussione dal basso, aperta, rispettosa e civile su temi che sono di tutti e per la loro delicatezza meriterebbero di più che sentenze definitive.
Manca la politica fatta e non solo twittata, surrogata, questa sì,  da tanti, troppi, bassi opinionisti, e nella realtà,  affittata in comodato d’uso  gratuito a chi della società che vive e cambia, importa il giusto.

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