Media
Twitter, il giornalismo e la politica (cui prodest?)
Gli studi sulla comunicazione politica, in particolare quelli che concentrano la loro attenzione sul giornalismo, da anni stanno cercando di aprire la scatola Twitter per capire come le pratiche di costruzione dell’informazione stiano cambiando per il suo utilizzo.
La cronaca di queste ultime ore mostra in quale misura i giornalisti siano attenti all’uso dei social media come fonte. Nella giornata di mercoledì 17 giugno, in poche ore tre diversi tweet sono diventati l’apertura dei principali siti e hanno conservato una loro rilevanza anche nei media tradizionali.
Il riferimento è ai tweet scritti da Angelino Alfano (@angealfa), Beppe Grillo (@beppe_grillo) e Matteo Salvini (@matteosalvinimi). Risparmio la ricostruzione dei fatti a questo punto nota e comunque facilmente recuperabile.
Ogni volta che il giornalismo introduce nuove routine produttive (in questo caso, appunto, monitorare i social media alla caccia di nuove fonti), gli studi sul giornalismo si chiedono generalmente tre cose: 1) quanto sia innovativa quella pratica; 2) quanto incida sui valori tradizionali del giornalismo; 3) se il giornalismo stia peggiorando o migliorando.
In particolare rispetto all’ultima domanda, non di rado, seguono risposte opposte che ricalcano la celebrata distinzione proposta da Umberto Eco tra apocalittici e integrati.
Monitorare gli account Twitter alla ricerca di occorrenze degne di diventare notizia è una pratica innovativa. Ha contribuito, non certo da sola, ad accelerare i tempi di produzione giornalistica. Ha anche accresciuto il numero delle fonti (per quanto poi, la portata di questo pluralismo di voci deve essere contestualizzata ai temi di cui tratta. Detto altrimenti: chi si occupa di politica interna, probabilmente se ne infischierà della dichiarazione lungimirante di un politico di seconda linea. Insomma, ignorerà quello stesso politico che non avrebbe mai intervistato). In taluni casi ha ulteriormente legato il lavoro del giornalista al suo desktop, togliendogli il disturbo di alzare la cornetta, ma concedendogli l’ingombro di aver un account Twitter con buone liste da cui ricavare notizie rilevanti per la testata per cui lavora.
Dal punto di vista dei cosiddetti valori notizia (le qualità che ha un evento per diventare notizia) ma anche delle più consolidate norme professionali (che ovviamente variano da contesto a contesto ma che generalmente vengono riconosciute nella obiettività, autonomia, veridicità, controllo della fonte, etc.) c’è poco da discutere. Rimanendo sull’esempio: un Ministro dell’Interno che afferma che “Occorre smantellare i campi Rom” è una notizia. Un leader di un partito politico in ascesa che, in risposta a un appello del Papa fatto durante la “Giornata dei rifugiati”, chiede quanti immigrati il Vaticano ospiti, è una notizia. Anche dal punto di vista delle norme professionali, qui, nulla da obiettare: la notizia è verificata e attendibile e riportata generalmente in maniera oggettiva (forse parziale eccezione è il tweet di Grillo, non a caso modificato).
Non rimane che chiedersi cosa stia succedendo al giornalismo. In questo particolare anfratto del giornalismo (l’utilizzo di Twitter per fornire informazione) una certezza e un dubbio. Dal punto di vista della trasparenza è un (involontario) passo avanti. Non più virgolettati rubati, non più confidenze, non più “da fonti interne trapela”. Dal punto di vista del ruolo di mediatore del giornalismo la questione si fa più intricata. Nel giornalismo italiano la mediazione spesso ha significato interventismo e parallelismo politico (vicinanza del giornalismo alla politica). Ma allo stesso tempo ha significato dare cornici e interpretazioni che sovente aiutano il lettore a capire quello che accade. Ora il rischio è che si lasci alla fonte la definizione primaria (come la chiamano i cultural studies britannici sin dagli anni Ottanta). Quello che rischia di accadere è che l’atto comunicativo venga fagocitato dal sistema dei media senza mediazione. Insomma, se il giornalismo non solo racconta, ma costruisce e definisce la realtà, quella definizione viene lasciata alla fonte senza mediazione.
Questo sì, in talune circostanze, può essere un peggioramento del giornalismo. Ma ci sono studiosi che parlavano di questo processo già negli anni Ottanta e lì i cinguettii non c’entravano niente con internet.
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