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Trend podcast: la risposta ai quotidiani che nessuno legge più

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23 Settembre 2021

“Se per Hegel la lettura dei giornali era la preghiera dell’uomo moderno, il podcast è quella dell’uomo contemporaneo”. Almeno così la pensa Massimiliano Coccia, per un quinquennio voce di Radio Radicale e adesso reporter di inchiesta per L’Espresso.
I dati sembrano dargli ragione: da anni i podcast sono in espansione nel nostro Paese, con una crescita del 15% rispetto ai dodici mesi precedenti: si è passati dai 12 milioni di ascoltatori nel 2019, ai 13,9 milioni del 2020, un aumento di quasi due milioni di persone. A volte si trasformano in libri, come nel caso di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri con “Morgana” o “Polvere” firmata da Chiara Lalli e Cecilia Sala (entrambi i libri sono usciti per Mondadori); altre volte diventano un appuntamento quotidiano, in grado di intercettare l’interesse crescente del pubblico – oggi la media di ascolto settimanale è di 25 minuti secondo gli ultimi dati prodotti da Nielsen. Un po’ come accade per l’intuizione di Coccia,curatore della neonata rassegna stampa “Quarto potere” (Storielibere.fm), la cui ispirazione trova radici evidenti nel maestro Massimo Bordin, che con la sua “Stampa e regime” forgiò un modo differente di orchestrare il quotidiano appuntamento di lettura con la carta stampata. Partita ad agosto per l’emergenza afghana, ha conquistato subito la top chart dei podcast, “a testimoniare l’esigenza – spiega Massimiliano Coccia, all’inizio della nostra conversazione -, di fuggire alla semplificazione delle notizie e di entrare davvero nel quotidiano”.
Per quale motivo il podcast è importante per raccontare la realtà?

Il podcast è importantissimo perché il racconto orale è da sempre il mezzo immediato per la circolazione di idee e notizie. È on demand e quindi mescolabile con la nostra confusa quotidianità. È uno strumento che ha enormi potenzialità e speriamo che guadagni sempre più audit perché può divenire una sorta di università del parlato che può combattere fake news e disinformazione.
Qual è il tipo di riscontro che sta ottenendo “Quarto potere”?
Sembra retorico ma davvero non mi aspettavo una risposta così enorme, sia in termini di ascolti, di classifica che di partecipazione. Gli utenti scrivono, problematizzano e ci chiedono ulteriori spunti di riflessione. Anche per questo motivo “Quarto potere” propone anche approfondimenti con interviste e reportage. Un progetto di giornalismo diffuso e crossmediale.
Quanto dell’esperienza maturata a Radio Radicale riporti in “Quarto potere”?
Direi molta, anche se i linguaggi sono diversi. Un podcast è un prodotto diverso da una diretta, risponde nel linguaggio ad altri requisiti, ad una capacità di analisi e sintesi molto diversa dal mezzo radiofonico. C’è una serialità anche nel fare una rassegna. Ho avuto la grande occasione di maturare accanto al maestro assoluto del genere, Massimo Bordin, che ha rovesciato il piano della canonicità della rassegna stampa, la sua “Stampa e regime” era come uno spettacolo teatrale, unica e irripetibile ogni giorno. A Bordin debbo tanto, tra cui l’aver avuto la possibilità di vedere e assimilare un metodo nella selezione degli articoli, nella linea logica, nella immediata individuazione di parole chiave nei pezzi.
Quali sono le caratteristiche di “Quarto potere”?
Mi pongo in modo paritario rispetto all’ascoltatore, in quella mezz’ora sono uno che ti sta raccontando qualcosa, che te la commenta, ma non te la spiega, al massimo la problematizza e lascia a te la palla per il resto del giorno. Penso che l’informazione debba servire a questo.
E invece?
Invece spesso è ammantata di personalismi, di protagonismi e di vanità. Tutto legittimo, tutto giusto, ma non lamentiamoci se le persone non leggono più e non si appassionino al racconto pubblico. Siamo nella dittatura delle ospitate televisive che sono anche remunerative e tutti “teniamo famiglia” però l’informazione non può basarsi su questa modalità di racconto perché poi il risultato è che i giornali non li legge più nessuno. Ormai sono visti come libretti di istruzione per addetti ai lavori. E tra qualche anno la situazione sarà drammatica, i ragazzi leggono più testate straniere che italiane.

Se gli editori si facessero un giro nei licei, apprenderebbero molte cose.

Per “L’Espresso” hai firmato inchieste molto importanti, basti ricordare quella sul cardinale Becciu e gli affari illeciti a lui correlati o quella su ultras e criminalità organizzata. Come si coniugano questi due aspetti da rassegnista e da reporter sul campo?
Non sono antitetiche anzi. Mi piace molto apprendere, leggere, vivere le notizie. Per me letteratura, giornalismo, radio sono complementari. Ho iniziato a leggere le notizie ad alta voce quando avevo sei anni, il logopedista mi prescrisse per una brutta balbuzie la lettura e la registrazione per risentire la mia voce, per acquisire sicurezza e poi non ho più smesso. Durante l’inchiesta Becciu hanno provato in tutti i modi a silenziarmi con paginate piene di fango, querele temerarie ogni cinque minuti, la mia rubrica telefonica si è molto ripulita, molti colleghi sono scomparsi chi per invidia e chi per altro, ma proprio lì ho trovato un senso nuovo nel fare le cose, ho acquisito maggiore sicurezza come per la balbuzie e “Quarto potere” è un progetto anche figlio di quel periodo.

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