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Suicidio, istruzioni per l’uso | Storia di un libro censurato in Francia

10 Agosto 2018

Questa à la storia, particolare, di un libro.

Suicide, mode d’emploi – Histoire, technique, actualité”, di Claude Guillon e Yves le Bonniec (“Suicidio, istruzioni per l’uso”, edizione Alain Moreau) è un libro uscito in Francia nel 1982.

Innanzitutto si tratta di un saggio che ha venduto circa 100mila copie – che per un testo di questo tipo è una cifra abbastanza importante – e che è stato tradotto in sette lingue; alla pubblicazione sono seguiti poi circa 500 articoli di stampa e una discussione, accesissima, sul diritto alla morte e sul fine vita. Dalla vicenda sono nati ben dieci procedimenti giudiziari e tre condanne e, infine, il libro è stato censurato.

Il libro parla, come è chiaramente indicato nel titolo, del suicidio e del “diritto alla morte”, ovvero del dibattito intorno alla decisione di mettere fine alla propria vita, alla legittimità e alla rivendicazione della scelta. Nel testo si traccia una storia del fenomeno del suicidio, della percezione sociale e del posto che occupa nella società e negli ospedali francesi.

«“Suicide, mode d’emploi” secondo noi rientrava nella tradizione libertaria e nella logica delle lotte portate avanti negli anni Settanta attorno ai temi dei diritti del malato, del diritto di disporre e godere del proprio corpo, del diritto alla contraccezione e all’aborto», scrive Guillon.

Un capitolo in particolare, il decimo (Éléments pour un guide du suicide) entra nel dettaglio delle tecniche per procurarsi la morte e stila una lista di farmaci e sostanze letali che permettono di ottenere una morte “dolce”.

È stato questo il capitolo – usato a pretesto secondo uno degli autori, Guillon – che ha creato problemi agli autori e all’editore. I critici dell’opera sostenevano che una persona “fragile e sensibile”  come un adolescente, per esempio potrebbe passare, dopo la lettura del testo, dal pensiero all’atto.

E qui interviene la politica.

Nel 1983, l’anno successivo all’uscita del libro, il Senato francese, in seguito alle proteste, ha presentato una proposta di legge che condanna la “provocazione al suicidio”: l’Assemblea nazionale ha accolto il testo nel 1987. Si tratta di una legge che proibisce quella che è ritenuta propaganda a favore del suicidio o pubblicità di prodotti e/o metodi che possono aiutare la morte. “Suicide, mode d’emploi” fu utilizzato, nei dibattiti politici, come l’esempio di libro da non pubblicare.

Di fatto, la legge fu ritagliata su misura per l’opera, come dice Libération nel 1995.

Nel 1995 l’editore, Alain Moreau, fu condannato (con applicazione retroattiva della legge, dovuta al fatto che nel 1989 l’opera fu ridata alle stampe) e l’associazione che portò avanti la causa ottenne che il testo non potesse più essere stampato nella sua versione originale.

Secondo la stessa legge, nel 2001 un insospettabile Jean-Marie Colombani è stato condannato – in quanto direttore responsabile de Le Monde – perché un allegato del giornale indicava ai lettori come procurarsi il libro “Final Exit: The Practicalities of Self-Deliverance and Assisted Suicide for the Dying” di Derek Humphry, best seller negli Stati Uniti, tradotto in 12 lingue: si tratta di un testo ritenuto fondamentale da molti per quanto riguarda il dibattito sul fine vita e sul diritto all’eutanasia e al suicidio assistito.

Per dare un’idea della durezza delle posizioni: nel 2005 (quindi oltre 20 anni dopo la pubblicazione) sulle colonne di Libé Marcela Iacub – femminista, giurista, politicamente liberale e, pour la petite historie, ex di Strauss-Kahn – pubblica «Tous morts de lire» (un gioco di parole sul morti dal ridere/dal leggere, che in francese funziona molto bene, ndr) dove riprende il dibattito attorno a “Suicide, mode d’emploi”, relativamente all’accusa fatta al testo di essere la causa di 72 morti, tutti suicidii.

La risposta di Guillon, sulle stesse colonne, mette in chiaro la visione degli autori:

« Chacun peut donc, à son gré, le diviser par deux ou le multiplier par quatre (en le rapportant tout de même au chiffre de 100 000 exemplaires vendus en France durant huit ans et à la moyenne annuelle de 11 000 décès par suicide pendant la même période). Je sais, pour avoir reçu et récemment publié leurs lettres, que notre livre n’a pas eu de “victimes”, mais des lecteurs conscients et jaloux de leur liberté ».

(«Ciascuno può dividerli per due o moltiplicarli per quattro (i morti suicidi, ndr) rapportandoli alle 100mila copie vendute in Francia durante gli 8 anni di commercializzazione del libro e agli 11mila decessi per suicidio avvenuti durante lo stesso periodo. Io so, per aver recentemente pubblicato le loro lettere, che il nostro libro non ha avuto “vittime” ma lettori coscienti e gelosi della loro libertà»).

In Francia i suicidi sono diminuiti, e di molto. Nel 2014 se ne contano 8.885 (uno all’ora, e il calcolo immaginato così è sì impressionante. La cifra è più altra rispetto alle morti per incidenti stradali, per esempio), ma comunque il 26% in meno rispetto al decennio precedente (Dati Osservatorio Nazionale sul suicidio). La Francia è il 10° paese su 32 in Europa in questa classifica. La curva dei suicidi ha iniziato ad abbassarsi, per puro caso, proprio nel 1985. 

Piccola parentesi storica

Il suicidio ha una storia particolare in Francia. Fino al XVIII° secolo non si usava questo termine, ma si parlava di “d’homicide contre soi-même”(omicidio di sé stessi).

In alcuni casi, ancora nel Diciottesimo secolo – anche se sempre meno, la pratica risale al Medioevo – al suicida, al cadavere del morto quindi, veniva fatto un processo. O, in alternativa, si faceva un processo alla sua memoria. La colpa da ricercare era quella di aver, appunto, commesso volontariamente un “omicidio contro sé stessi”. La pratica era talmente grave che veniva paragonata al crimine di lesa maestà.

Se la follia o l’errore venivano esclusi, veniva quindi applicata una pena: si partiva con la confisca dei beni e la condanna “eterna”. Il corpo, già deceduto quindi – lo risottolineo per vezzo – poteva essere impiccato a testa in giù, trascinato faccia contro il suolo o gettato in fosse senza sepoltura in terra sconsacrata.. I casi sono tanti e vari e le pratiche erano diverse anche a seconda delle regioni: per chi è interessato rimando a qualche testo in fondo alla pagina.

Il termine “suicidio” è entrato nel vocabolario francese solo nel 1734 e, a partire da Montesquieu, ha fatto discutere tutti gli intellettuali illuministi: il suicidio è un diritto? La morte volontaria è un crimine contro Dio, contro la società?

Montesquieu, nelle Lettere Persiane: « Les lois sont furieuses, en Europe, contre ceux qui se tuent eux-mêmes. On les fait mourir, pour ainsi dire, une seconde fois ; ils sont traînés indignement par les rues, on les note d’infamie, on confisque leurs biens. Il me paraît […] que ces lois sont bien injustes ».

Questo cambio di terminologia (da omicidio a suicidio) corrisponde anche ad un cambio di paradigma giuridico: il Code pénal del 1791 non lo annovera più tra i crimini perseguibili per legge e il Code des délits et des peines del 1795 specifica che la morte interrompe ogni successiva azione legale.

Quella del suicidio, evidentemente, è una questione non da poco, anche in laica terra francese.

Per tornare al libro da cui sono partita: dal 1991 “Suicide, mode d’emploi” non si trova più nelle librerie francesi e la versione del 1982 è ufficialmente introvabile.

In rete la prima versione del testo è reperibile facilmente, messa on line da privati, senza il consenso degli autori. Va detto che se qualcuno commettesse un suicidio e fosse possibile dimostrare che ha scaricato una copia messa online, la persona che ha effettuato l’upload sarebbe – tecnicamente – perseguibile per legge.

Gli autori

“Suicide, mode d’emploi” è stato scritto da Claude Guillon e Yves le Bonniec.

Guillon è uno scrittore e un anarchico, il suo blog: Lignes de forceNel 2010 ha pubblicato “Le Droit à la mort. Suicide, mode d’emploi, ses lecteurs et ses juges”, un testo (che trovate disponibile) dove riprende la discussione sul dibattito legato al primo testo – con un excursus storico ampio e documentato sul pensiero liberale e libertario intorno al suicidio – e dove, soprattutto, racconta le vicende giudiziarie legate all’uscita del libro nel 1982.

Il secondo autore, Yves Le Bonniec è quello che è stato maggiormente toccato dalle vicende giudiziarie. Le Bonniec è stato condannato in seguito a delle corrispondenze tenute con i alcuni lettori (gli autori ricevettero diverse centinaia di lettere, tantissime a sostegno dell’opera): il primo fu Michel Bonnal – morto suicida il 4 marzo del 1983 a Parigi – che scrisse a Le Bonniec proprio in relazione al suicidio: l’accusa, secondo la Corte, è quella di “astensione delittuosa di soccorso a persona in pericolo” («homicide involontaire» et «non-assistance à personne en danger» ); questo perché Le Bonniec non tentò di dissuaderlo nella sua risposta ma, al contrario, fornì informazioni dettagliate sulle dosi di alcuni farmaci. Qualche anno dopo, sempre per un altro scambio epistolare dello stesso genere con Daniel Cazalens (poi morto suicida), arriva la seconda condanna, sempre per “mancato soccorso” in seguito alla denuncia del padre di Cazalens.

* “Suicide mode d’emploi” è presente in una scena di Soigne ta droite di Jean-Luc Godard (1987).

** Qui la lista di tutti i libri censurati, in Francia, dal 1948 al 2010 **

 

Fonti:

http://edoctorale74.univ-lille2.fr/fileadmin/master_recherche/T_l_chargement/memoires/travail/mulliera02.pdf

Dominique Godineau, S’abréger les jours : Le suicide en France au xviiie siècle, Paris, Armand Colin, 2012

Claude Guillon, Le droit a la mort – suicide, mode d’emploi, Imho, 2010

https://www.franceculture.fr/emissions/lessai-et-la-revue-du-jour-14-15/le-suicide-en-france-au-xviiie-siecle-revue-genesis

Marc Ortolani, Le procès à cadavre des suicidés à la fin de l’Ancien Régime. Deux exemples provençaux http://www.historiaetius.eu/uploads/5/9/4/8/5948821/ortolani_10_1.pdf

 

 

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