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Stile libero?

27 Ottobre 2017

Mezzi di produzione e beni di consumo
C’è una vecchia distinzione operata da Elio Vittorini tra opere come “mezzi di produzione” e opere come “prodotti di consumo”. Le prime sono quelle di ricerca e di sperimentazione  e nel lungo periodo si offrono come mezzi di produzione per altre opere, che se ne avvalgono per fatti concludenti o per mimesi anche inconscia. Poi ci sono le opere gastronomiche pronte all’uso, al consumo immediato.
Ora debbo dirlo con tutta schiettezza io non ho amato la collana “Stile libero” dell’Einaudi. Perché? Perché trasformava già dall’alto con i metodi della pianificazione i mezzi di produzione nei beni di consumo. O meglio suggeriva un consumo indirizzato attraverso la manipolazione centralizzata dell’editore e dell’editing dei mezzi di produzione. La letteratura cessava di essere atto spontaneo folle e inconsulto, urlo dell’anima individuale. Già al momento dell’ideazione si conformava ai desiderata di una linea editoriale, oppure veniva da essa piegata, con sapiente editing al proprio indirizzo. Non sei sufficientemente “cannibale”?, poco splatter ragazzo mio, passa al prossimo giro.

Editing e linee editoriali

Io vengo continuamente torturato da “quelli” dei piani alti di Facebook con continui molesti suggerimenti: “Post brevi hanno più probabilità di successo”; “Con le immagini i post conquistano maggior pubblico”. Fra un po’ mi scriveranno: “Mettici i filmati dei gattini che fanno le fusa o l’ippopotamo che azzanna il coccodrillo e vedrai quanti clic acquisterai” ecc. Io me ne fotto delle Direttive Aziendali. Io? “Stile libero”, quello mio non quello imposto per antifrasi dalla Direzione Pianificata (tipo chiamare “Regno dell’abbondanza” il regno effettivo e reale immerso nella più squallida penuria), come nelle dittature o negli “Hunger Games”.

Sull’editing, pratica legittima ma industriale, tendente a un livellante “best way” tayloristico (si dimentica che Zamjatin in “Noi” ce l’aveva non con i soviet di là da venire, ma proprio contro il taylorismo sperimentato nei cantieri navali inglesi) allego l’opinione ante litteram di Flaubert (Corrispondenza):

 Ah quanta ragione ho nel non scrivere sui giornali e quali funeste bottegucce sono! La mania che hanno di correggere i manoscritti che gli vengono consegnati finisce per dare a tutte le opere la stessa assenza di originalità. Poniamo che un giornale pubblichi cinque romanzi, siccome questi cinque libri sono corretti dalla stessa mano o da un comitato che ha lo stesso cervello, ne risultano cinque libri uguali […] Se avete consegnato la vostra opera, e non siete uno sciocco, è perché la trovate buona. Avete fatto ogni sforzo, ci avete messo la vostra anima. Un’individualità non si sostituisce ad un’altra. Un libro è un organismo complesso. Orbene, ogni amputazione, ogni cambiamento operato da un altro, lo snatura. Il libro potrebbe essere meno malvagio, non importa, non sarà più esso.

Se non possiamo essere liberi neanche su Facebook, dove possiamo sceglierci il fine ed il mezzo – la propria scrittura e nient’altro – meglio sarebbe andare a lavorare in fabbrica, a produrre beni di consumo con i mezzi di produzione forniti dalla ditta.

 

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