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Social vs Trump: la democrazia tiene il passo dell’innovazione tecnologica?

11 Gennaio 2021

La sospensione di Trump da Twitter e  Facebook propone la questione del conflitto fra libertà di opinione e potere in termini inediti. Il detentore del potere è vittima e non artefice della repressione della libertà, mentre chi di solito la libertà rivendica, e cioè il diffusore delle informazioni, si trasforma in repressore. È questo il dato principale, che viene prima di ogni giudizio di legittimità nel merito, perché segna un passaggio di epoca le cui implicazioni e le cui origini  sono tutte da investigare.

La novità è da inscrivere nella inusitata piega che ha preso non solo la dialettica tra potere e libertà ma prima ancora quella fra potere e innovazione, altro terreno dialettico. Nella storia, le innovazioni sono state prodotte a volte dal potere medesimo, o da luoghi ad esso confinanti o da esso controllati, ma in ogni caso al potere sono state comunque ricondotte, contribuendo al suo adattamento al mondo che cambia. Sono di questa natura le novità nate dall’arte della guerra, delle esplorazioni, della cosmologia, dei mezzi di trasporto, della medicina.I caratteri a stampa hanno aumentato i gradi di libertà della società civile, ma i poteri ne hanno variamente disciplinato l’impiego e la diffusione, e ne hanno tratto profitto. Trump rappresenta da questo punto di vista l’erede della tradizionale attitudine autoritaria dei poteri nei confronti di ciò che è nuovo, e in questa fase della storia di nuovo ce  n’è tanto. Di suo, ha messo l’assenza ostentata  di ogni mediazione comunicativa: è maleducato e quindi più riconoscibile in ciò che rappresenta.

Di solito il potere combatte e vince (“eppur si muove”), o impone agli innovatori la sua mediazione. Trump ci ha provato con la pandemia, ma ha vinto Fauci. E ci ha provato con i media, accusati il 6 gennaio di rappresentare il problema numero uno negli Stati Uniti. Ed è qui che si è celebrata o rivelata la frattura storica. I più forti fra i media, quelli nuovi appunto, non solo non hanno ceduto, ma hanno punito il potere, lo hanno censurato, hanno esercitato sul potere la forza che il potere storicamente prova ad usare contro di loro. Dimostrando che i rapporti di forza fra potere e innovazione si stanno ribaltando,  oggi nel mondo dei social media, come anche su un altro terreno, quello della ricerca scientifica diffusa a rete nel globo, e domani potremo averne una prova più importante in quello della intelligenza artificiale e del suo controllo, o del clima.

Un potere più lungimirante ed educato non avrebbereso frontale lo scontro, e rivelato la profondità delcambiamento. Ce ne saremmo accorti fra un po’, ma questo qui, con il suo egocentrismo incolto e acritico, ha sfidato il nuovo in campo aperto, e ha rivelato la debolezza non solo di un potente  unfit, ma anche del potere in se. Perché nessuno esclude che il prossimo bannato sia un soggetto nemico non dell’umanità, ma delle famiglie proprietarie di media onnipotenti. Siamo solo all’inizio. Se questa è la prospettiva, il dopo Trump ci consegna l’esigenza di capire nientemeno se il ritmo di trasformazione delle élite nei paesi occidentali (Biden è un ottantenne, per dire) e delle istituzioni democratiche sia ancora adatto dal punto di vista darwiniano al ritmo delle trasformazioni in atto nelle tecniche, con i problemi che ne derivano (inclusi quelli generati dai virus nati o non riconosciuti nei laboratori). Perché se si scopre che adatto non è, bisogna cominciare a provvedere: se no, come Darwin appunto insegna, il futuro è davvero cinese, o peggio.

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