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Montanelli, Selvaggia e questo mestiere che si ostina a non finire

6 Aprile 2015

Più del ritorno di Indro Montanelli alla casa madre di via Solferino, che ebbe il clamore che ebbe pensando anche a come il Corriere della Sera titolò perfidamente il suo azzoppamento per mano delle Br, ignorandone addirittura il nome – «I giornalisti nuovi bersagli della violenza» – può, in questi giorni, il passaggio “storico” di Selvaggia Lucarelli al Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio. Roba quasi da comunicati ufficiali, che trascinerà con sé molte invidie/perfidie/malizie e lettori zero, come da sana tradizione giornalistica secondo cui vale il giornale e non la grande firma che generalmente si crede un Garibaldi in sella a un destriero che trascina la folla alle edicole. Ma qui non siamo in prossimità di una grande firma, nè sappiamo cosa Selvaggia Lucarelli pensi di sé, dunque il problema è risolto alla radice.

Molti si interrogano sulla nostra protagonista, associando il suo passaggio al Fatto Quotidiano alla morte di un mestiere. Che, se davvero in agonia, meriterebbe almeno un boia un pochino più qualificato, un incappucciato dal volto sì sconosciuto ma dalle malefatte acclarate e planetarie. Qui, invece, saremmo nei pressi di quelle saporite zuppe del casale, se un rapidissimo sguardo al blog della medesima, denominato “Stanza Selvaggia”, ci restituisce argomenti tipo: «Io voglio un ex come Berlusconi», oppure «Elisa Isoardi e la propaganda a colpi di frisona», o anche «Daria Bignardi mi si è data al lesbo-chic». Non ancora Donna Letizia, ma insomma ci si può lavorare.

Tra coloro che paventano quel parallelismo effettivamente inquietante con il Cav. per cui «non ho paura della Lucarelli in sè, ma della Lucarelli in me», i più preoccupati dovrebbero essere certamente i lettori del Fatto, ai quali ora, dal Primo Maggio, la Selvaggia capiterà tra capo e collo. Non ho sentito un solo lettore del Fatto lamentarsi dell’avvento, segno che in qualche misura il suo arrivo in famiglia non sposta granchè delle convinzioni granitiche che animano quel tipo di fedeltà. Che è innanzitutto una fedeltà alla causa, al tempo della fondazione del Fatto quella persa, ma produttivamente azzeccata, dell’antiberlusconismo, oggi parcellizzata in mille rivoli di Casta, che verbali giudiziari come sempre ricchi di porcherie e di vergogne italiane contribuiscono ad alimentare.

Ma del resto, non ci potrebbero essere persone più diverse di Lucarelli e Buttafuoco, e dove si potrà immaginare che quel feroce Saracino di Pietrangelo alzerà l’asticella sino al possibile distacco di qualche lettore per manifesta inferiorità culturale, ci penserà Selvaggia ad accorciare le distanze, come impeccabile crocerossina, riportandolo sulla retta via della Pupa e il Secchione. Se questo era l’intento del direttore, se questo l’obiettivo di Marco Travaglio, non sappiamo ma forse sì. Come nel bouquet di Sky dove si pesca ora qui ora là a seconda di umori, conoscenze, passioncelle, perversioni, Travaglio offrirà ai lettori del Fatto Quotidiano lo yin e lo yang dell’animo umano nelle sue più diverse declinazioni.

E non è neanche escluso che Selvaggia sia una stanza di Travaglio non troppo confessata. Laddove il direttore, generalmente abile con ironia e sarcasmo ma senza il dono della leggerezza, abbia l’idea che quella parte di sé mai nata possa svilupparsi in un corpo estraneo e assai più burroso del suo. Un esperimento da laboratorio che a quel signore dal tratto antico ch’era Antonio Padellaro doveva sembrare leggermente azzardato. Gli effetti della Lucarelli, se mai dovessero esserci sui lettori del Fatto, purtroppo non si noteranno, né potranno apprezzarsi dati alla mano. A differenza di quei satanassi del Kobo, che sono riusciti a stabilire, attraverso la traccia elettronica, in quale momento esatto, a quale pagina precisa, il lettore sfiancato abbandona quella mattonata di libro che incautamente aveva incluso nel suo e-book, stesso miracolo non si potrà avere per gli articoli-patacca di cui i giornali sono pieni.

Grazie a questo mistero gaudioso, discreta parte del giornalismo italiano continua imperterrita la sua missione.

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