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San Gennaro superstar
Una volta mi venne in mente di dipingere San Gennaro: pensai a una una figura che si allontanasse il più possibile dalla pantomima del sangue sciolto, un evento a cui tanti napoletani sono affezionati e che costituisce, anche in maniera straordinaria, un compendio eterogeneo di tradizione, sceneggiata e religione, dove il pubblico, a prescindere dal livello qualitativo della fede, ha da assolvere alla sua funzione coreografica.
Dal disegno venne fuori un femminiello della secolare cultura napoletana, che, come tutti sapranno, viene tramandato come una figura sacra di grande impatto e significato, un esempio magnifico nel quale un uomo che si veste e si dispone da donna non viene discriminato e non subisce violenza, ma è invece celebrato nella sua dualità, riconosciuto come un uomo che vive e sente da donna, alla maniera dell’ermafrodita dell’antica Grecia, dove era considerato il figlio della Dea della bellezza e del Dio dell’amore.
Un San Gennaro femminiello, pensai, non fa una grinza! Anzi, non solo diventa rappresentativo di una cultura popolare che ha resistito alle trasformazioni sociali della città, ma anche identitario di una tradizione religiosa come la Candelora, che a Napoli diventa un giorno originale e fuori dall’ordinario per merito dei femminielli, che salgono al Santuario di Montevergine per glorificare la Madonna, durante, appunto, la “Juta dei Femminielli“, in ricordo a un episodio avvenuto nel 1256, quando la Madonna di Montevegine, conosciuta dai partenopei con il nome di Mamma Schiavona, mossa dal sentimento di due amanti omosessuali incatenati sulla montagna e condannati a morte, decise di salvarli con il calore della sua luce.
Credo che tutto, a Napoli, ma proprio tutto, possa assumere un valore diverso che altrove, in special modo un santo e la venerazione che lo riguarda! Il bellissimo e gigantesco murales di San Gennaro a Forcella, affianco alla chiesa di San Giorgio Maggiore, a pochi metri dal Duomo, ha il pregio di aver portato il santo fuori dalla Chiesa, in strada, tra la gente, spogliandolo della sua divinità e restituendogli la sostanza terrena di un volto tipico, inerente ai tratti di un’espressione comune, ordinaria, popolana.
L’opera di Jorit Agoch, infatti, trasforma San Gennaro in un’icona antropologica ed etnica, privandolo, magicamente, di ogni tratto convenzionalmente celestiale, pretestuosamente superiore. Pertanto, il murales, molto più della statua e di qualsiasi rappresentazione canonica del santo, riflette l’intenzione più autentica insita nel cristianesimo di ogni tempo: la pietà universale che non può mai, in nessun caso, prescindere dalle condizioni degli ultimi, della gente comune, degli umili.
Non ho niente contro la ricorrenza di un miracolo ripetitivo quanto inutile come quello relativo all’ampolla contenente il sangue di San Gennaro, anch’esso un punto fermo di una tradizione ricca e contraddittoria. Mi infastidisce, invece, come non napoletano amante di Napoli, il racconto che se ne fa sui media, dove si coglie un’ironia da quattro soldi, inelegante e altezzosa, che vorrebbe far passare i napoletani e i meridionali in genere come gente superstiziosa e arretrata, senza tener conto dell’intreccio dei mille valori culturali che la città e l’intero Sud esprimono.
Il vero miracolo, manco a dirlo, consisterebbe nello studio delle civiltà che hanno attraversato la storia del meridione d’Italia e come queste influenzino, ancor oggi, la sua popolazione, non fosse altro per sapere di quale luogo e di quali fenomeni sociali si sta parlando e scrivendo. Ma dispero, l’ignoranza non si può sciogliere per simulazione, contrariamente al sangue.
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