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Rio2016: Tamberi, Pellegrini, Del Core vincono le olimpiadi delle parole a caso

19 Agosto 2016

Un evento di portata mediatica globale come le Olimpiadi non poteva far parlare solo di sport.

Sarebbe stato sufficiente che a parlare fosse solo lo sport e meno gli sportivi.
Da questa ormai conclamata periferia del mondo che chiamano Italia ampio spazio è stato infatti dato alle manifestazioni verbose di un ormai costante effetto collaterale dello sport medesimo: il divismo da media con particolare predilezione per i social.
E’ molto interessante che a prendersi la ribalta di questo estemporaneo palcoscenico non siano stati i vincitori, gli eroi tricolori medagliati ma gli altri, quelli che a Rio non hanno lasciato traccia di memorabili imprese agonistiche. Forse questa è in fondo una consolazione: chi ha vinto non ha sentito il bisogno di esternare, colonizzando giornali e piattaforme virtuali ma ha preferito che a parlare fossero i propri allori.
Essere un personaggio oltre lo sport non è una esigenza fortunatamente sentita da tutti gli atleti, soprattutto da quelli che hanno davvero solo voglia di competere e di vincere.

Gregorio Paltrinieri e Niccolò Campriani hanno dimostrato che si può essere fenomeni senza per forza “fare i fenomeni”.
Rachele Bruni  ha dichiarato il suo amore per la compagna Diletta, nel secondo mese D.C. (Dopo Cirinna’), non per far parlare di se stessa come donna, ma solo per ringraziare chi a quella medaglia aveva contribuito con il suo impagabile incoraggiamento.
Accanto a queste belle istantanee di campioni con la “C” maiuscola dobbiamo però fare i conti con altre performance meno esaltanti che costruiscono un podio parallelo in cui vincere l’oro può non essere il miglior traguardo cui ambire.
In questa specialissima classifica il bronzo se l’aggiudica il capitano della nazionale di pallavolo femminile Antonella del Core che ha colto l’occasione della precoce eliminazione della sua squadra per annunciare il suo ritiro dai campi e salutare tutti. A modo suo.
Chi sperava che il narcisismo da social risparmiasse gli sport di squadra e si accanisse sui solitari interpreti degli sport individuali rimarrà deluso.

Antonella Del Core
Antonella Del Core

Del Core scrive un post incattivito e polemico in un italiano che ricorda certe prose futuristiche in cui le virgole devi andartele a raccattare col bagher, le subordinate le devi murare dal gran che sono, e devi sperare in una invasione di qualche alieno per trovare un senso e un soggetto che faccia almeno l’occhiolino al verbo. In piena logorrea, la nostra improvvisata Molly Bloom da Fuorigrotta, invita i detrattori ad andare a vedere sul vocabolario il significato della parola “nazionalismo”. Detto, fatto.

“Movimento politico e ideologico avente quale programma l’esaltazione e la difesa della nazione.” Così recita il dizionario Treccani; che “nazione” non è tou court sinonimo di “nazionale” lasciamo ad altri l’improbo compito di spiegarlo alla nostra Antonella, che per inciso, non fu molto patriottica quando emigrò prima in Turchia e poi in Russia allettata da contratti milionari che il campionato italiano, in piena crisi di sponsor, non le poteva più garantire.
Federica Pellegrini dopo il sorprendente argento di Atene 2004 che la portò diciassettenne, alla ribalta, se ne aggiudica un altro, ma anche in questo particolare cimento, dove lei è di sicuro la più portata di tutti, stavolta non sfonda.
La nostra portabandiera ha perso la sua gara (i 200 stile libero) e si è arrabbiata coi giornalisti.
Si è arrabbiata un po’ con tutti in realtà ma, giusto il tempo di tornarsene a Jesolo, e Instagram ce la riconsegna perfettamente in ripresa e pronta per serate danzanti con le amiche.
Il web la critica per la sua repentina ansia di dimenticare le recenti, cocenti delusioni; lei fa spallucce e sul Corriere della Sera dichiara di non essere la ragazza dalle bionde trecce che si incontra sul pianerottolo, di praticare il nuoto e di non avere velleità di essere “comica”.
Federica un mostro di simpatia non lo è mai stata fin dagli esordi e il rischio che la si scambi per un Checco Zalone in gonnella non dovrebbe quindi preoccuparla più di tanto; sarebbe carino invece conoscere come le è venuta l’idea di contrapporsi alla ragazza dalle trecce bionde che in natura e nel 2016 almeno, non si trova sui pianerottoli come in qualunque luogo socialmente frequentabile.

Citazione di Battisti Mogol da “La Canzone del Sole”?

Reminiscenza infantile della pubblicità Miralanza con tanto di Olandesina?

O effetto dei troppi spot di coppia per pubblicizzare uno shampoo caduto in disuso da circa 20 anni? Non è dato saperlo.
Mafaldina nazionale riconferma il suo talento nel rappresentare il vuoto torricelliano di chi ha allenato molto le shoulders e quasi mai la head, ma durante queste Olimpiadi la sua stella pare essersi eclissata anche per effetto della comparsa sul proscenio di un altro astro destinato a far sognare a lungo e che le ha soffiato senza molta fatica l’ennesima medaglia d’oro: Gianmarco Tamberi.
Jimbo, diciamolo subito, doveva essere sulle piste d’atletica se non fosse stato per quel maledetto infortunio che gli ha impedito, a un mese dalla cerimonia di apertura, di gareggiare e forse trionfare nel salto in alto.

Personaggio esteticamente non ordinario per quella barba tagliata a metà che non passa inosservata, il 24enne di Civitanova ha cominciato a farsi strada e ad acquistare visibilità più che per i suoi allori, per gli strali moralistici contro Alex Schwazer  definito senza tanti complimenti “vergogna di Italia”.
L’essere divenuto a vario titolo virale, gli è servito per sbarcare come improbabile inviato tuttologo a Rio e presenziare ovunque documentando sempre e comunque la sua presenza.

A scritturarlo la Rai. A pagarlo noi col canone rateizzato assieme alla bolletta dell’energia elettrica.
Tamberi straparla di tutto, conosce tutti, si filma assieme alla fidanzata rigorosamente “non cicciottella”, e vomita tutto sui social in un inarginabile prolasso di ego e di parole a caso.
Memorabile la sua incursione durante l’intervista a caldo a Gregorio Paltrinieri dopo il trionfo nei 1500 m: Jimbo lo abbraccia come se avessero fatto le elementari assieme; Greg che forse lo vedeva dal vivo per la prima volta, sfodera un sorriso di circostanza, ringrazia e sogna di essere ovunque ma non lì.
Finite le Olimpiadi potrebbe cadere in uno stato di depressione acuta, riprendere ad allenarsi (che è la prospettiva per cui in tanti tifiamo) o più probabilmente potremmo trovarcelo come testimonial del Si al Referendum costituzionale.
Poche domande, granitiche certezze, sorriso indelebile su un visino da vincente e soprattutto un rapporto disneyano con la vita, mediato dai filtri di Instagram: Quel volpone del nostro Premier ci avrà già pensato.

Se Grillo avesse il medesimo intuito e arruolasse la vittima del complotto dei complotti, Alex Schwazer, lo scontro fra due vite, due mondi,  due parabole esistenziali potrebbe conoscere nuove puntate.

Del Core, Pellegrini, Tamberi: tre facce di una stessa medaglia che ci fa rimpiangere un tempo lontano in cui degli atleti conoscevi le gesta e le imprese, le vittorie e le sconfitte, un’epoca in cui gli sportivi facevano gli sportivi, i tifosi i tifosi, i commentatori i commentatori, i comici i comici, i politici i politici.

Si perdeva e si vinceva anche allora ma si evitava di dire la propria a caso, forse perché non vi erano spazi o piazze virtuali o semplicemente perché la sobrietà veniva insegnata come elemento importante se non essenziale nella disciplina anche morale che un campione  o aspirante tale deve rispettare.
Stiamo parlando di qualche anno fa, e sembra trascorsa una era geologica.

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