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Repetita iuvant, la comunicazione “concentrata” di Matteo Salvini
Stavo stendendo un pezzo sulla comunicazione di Matteo Salvini quando ho letto un commento illuminante al sondaggio sul gradimento dei leader di Nando Pagnoncelli:“…spicca Salvini che con un dato al 36% si colloca allo stesso livello di Matteo Renzi. Ma la crescita rispetto all’inizio dell’anno è poco rilevante. L’impressione è che il leader della Lega abbia raggiunto il livello massimo di consensi e che fatichi ad estenderli…”.
Ecco, il punto è questo: la comunicazione di Salvini funziona, funziona bene è inutile girarci attorno ma c’è un ma… Innanzi tutto, come è fatta la comunicazione del leader della Lega? Non bisogna essere dei guru della comunicazione politica per evidenziarne le caratteristiche: 3 (forse 4!) “concetti” forti e semplici, combinati fra di loro e ripetuti ossessivamente. Immigrazione e criminalità, crisi economica e legge Fornero, no euro ed Europa avvoltoio. Qualsiasi altro tema più sfumato e complesso viene ridotto a slogan semplice e non argomentato perché implicitamente supposto autoevindente.
Salvini macina affermazioni come “pensate agli esodati”, “le piccole imprese strozzate dall’Euro”, “le città invase dalla scabbia”, “i campi rom territori incontrollati da cui partono i delinquenti”, “i clandestini mantenuti con i nostri soldi”. Nessuna visione positiva, nessuna sfida utopistica, nessuno storytelling alla Renzi. Il contrario anzi! Tutto crudo, concreto, immediato. Le ruspe esemplificano visivamente questa concretezza: spazziamo via tutto! senza troppa delicatezza. Temi più complessi e tentativi di argomentazione sono rimandati ad un futuro indefinito.
La vecchia Lega aveva un linguaggio per molti tratti simile ma anche un progetto che faceva riferimento ad una tradizione solida, per certi versi persino nobile. Il federalismo, la tutela della differenza, il localismo sono temi che Bossi ha sempre tenuto al centro del suo programma poi “ornato” di qualche slogan semplificatore (“la Lega ce l’ha d.…”). Invece Salvini quando incontra i giovani industriali a Santa Margherita e gli viene chiesto di illustrare il suo programma glissa, dice che sta studiando, che ha messo insieme un team di economisti, che farà sapere. Come all’esame di maturità di Ecce Bombo: alla richiesta di chiarimenti sulla dichiarazione dello studente sui trent’anni di malgoverno democristiano, lo studente si perde, sorpreso che si possa essere in disaccordo su un fatto così scontato.
Un esempio per tutti: l’aliquota flat al 15%. Salvini la lancia, sa che sembra una proposta che “buca” ma spiegarla nella sua attuazione e nelle sue implicazioni è un delirio: troppo complessa e insidiosa. Allora meglio evocarla nell’elenco degli slogan ma senza farne un punto “vero” del programma. Ecco: questo è il punto che spiega l’affermazione di Pagnoncelli sulla difficoltà di ampliare il bacino di consensi. Non tutti gli elettori si accontentano delle ruspe, delle felpe, degli sgomberi dei campi Rom. Qualcosa bisogna pur proporre (e spiegare) se si punta alla leadership di un paese che sarà in crisi ma è sempre una potenza economica e ha una fetta cospicua dell’elettorato che si immagina anche le gru oltre alle ruspe…
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