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Politica & Comunicazione: un disastro intellettuale epocale
L’esigenza di un’informazione più pertinente e immediata, tanto nel linguaggio quanto nei contenuti, si è sempre accompagnata all’insopportabilità diffusa per la vecchia e inadeguata politica, che, pur cambiando gli interpreti, se ne guarda bene dal recupero delle sue finalità autentiche. Anzi, a ben vedere, l’urgenza di un nuovo modo di comunicare ed esercitare la critica potrebbe addirittura precedere di gran lunga la necessità di avere una classe dirigente illuminata. Le “affinità elettive”, si fa per dire, tra la solita e inutile minutaglia politica e la chincaglieria intellettuale che ne racconta le gesta, coprendone l’indecenza con atteggiamenti e congetture da rattoppo, permeano della loro “grande bellezza” la sintassi del linguaggio politico, che finisce per influenzare quella della comunicazione, come se quest’ultima potesse essere intesa, unicamente, come la propaggine di una maniera di concepire il potere grazie al quale degli scriventi e dei parlanti di mestiere sono stati legittimati a dire e a scrivere banalità esemplari, analisi di sconcertante ovvietà, schifezze in genere.
Chiamati a difendere un sistema che protegge quanto di più indegno possa produrre una società contorta e perversa come la nostra, oggi, molti critici e giornalisti girano a vuoto intorno all’asse dell’evanescenza, abituati come sono ad agire a comando, ad abbaiare rabbiosi quando viene loro ordinato, a stare in guardia quando il padrone li mette in allerta, a scodinzolare quando, invece, vengono rimbrottati. Che strano, di canile hanno tanto, ma non il fiuto, che poteva tornar loro utile, se non altro per prevedere che un’insoddisfazione di massa, ramificata in rete, quant’anche squinternata e nevrastenica, li avrebbe ridimensionati nella funzione, giudicandoli scribacchini e simulatori di pensiero.
Via, s’invoca da più parti un po’ di ritegno! Ci ritroviamo giornalisti di grido che, nonostante innumerevoli cantonate, sbagliatissime previsioni e ipotesi scriteriate sullo stato sociale della nazione, hanno ancora l’ardire di dimenarsi dalle poltrone televisive di questo o quel talk, esponendo, ripetutamente, un vuoto ideologico snervante e una caratura deontologica disarmante. Si fa, a buon ragione, un gran parlare della limitatezza di chi, fin qui, ha governato la nazione, ma non altrettanta attenzione viene riservata agli “intelligentoni” che per un tempo analogo hanno raccontato, criticato e analizzato il paese in una maniera quasi sempre poco attenta e ingannevole, chi senza azzeccarne una, chi prendendo addirittura fischi per fiaschi, come si suol dire. Fare nomi sarebbe inelegante, anche perché credo che “la splendeur de soleil” che illumina un simile giornalismo venga propagata dalle solite facce, che, in perfetta sintonia e a scelta, agitano la manina, fanno il sorrisino, liberano una scorreggina. Pare proprio, dunque, che a fare da contraltare a una classe politica del tutto inadeguata ve ne sia una giornalistica altrettanto inadatta. Due delle attività fondamentali di uno stato civile, la politica e la comunicazione, forse dovrebbero riaversi. Diversamente, il paese resta nelle mani di interpreti di basso profilo e narratori di aria fritta.
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