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Perché l’Auditel non può funzionare
Gazebo si inventa un suo tutorial su Auditel, dopo che la Nielsen – la società che cura le rilevazioni – ne aveva ordinato un blackout di quindici giorni, perché i nominativi paiono aver perso la propria privacy, diventando la loro appartenenza di dominio pubblico. Risultato: è urgente modificare il campione di famiglie, che sono circa 15mila, in tempi rapidissimi.
Auditel dunque nell’occhio del ciclone. Le rilevazioni degli ascolti televisivi, colonna portante del tariffario pubblicitario, oltrechè spina costante dei programmatori tv, non possono essere più effettuate con questo campione di italiani. Tutto sbagliato, tutto da rifare, come avrebbe detto il buon Ginetto Bartali.
Cronache di ieri. Cronache di sempre? Lo strumento di rilevazione degli ascolti, il mitico meter, creato sul finire degli anni Ottanta con poco più di 600 famiglie-campione, è sempre stato ampiamente criticato. E non senza motivo, fin dai suoi esordi. Perché? Semplicemente per il motivo che era, già da allora, uno strumento gravemente imperfetto. Non è possibile stimare con un campione così ridotto il comportamento quotidiano dei cittadini televisivi. Le leggi della statistica non lo permettono. Non perché un campione porti con sé un certo errore, insito nelle leggi probabilistiche, ma perché misurare dei comportamenti non è come monitorare degli atteggiamenti, delle intenzioni di voto, delle fiducie nei governanti. Queste ultime restano più o meno stabili, almeno nel breve periodo, mentre i comportamenti sono molto più erratici, dipendono da quanto si ha intenzione di fare quel preciso giorno, in quel preciso momento.
Se stasera la mia famiglia, che fa parte del campione Auditel, invita qualcuno a cena, la tv non viene accesa, preferendo la compagnia degli ospiti; se vado al cinema, la televisione rimane spenta; se decidiamo di provare il nuovo videogame, il programma che solitamente viene visto resta muto. Situazioni erratiche, declinate in misura diversificata giorno per giorno, ora per ora. E per poter avere una sua validità generale, estendibile a tutta la popolazione televisiva, il campione deve essere necessariamente molto molto più numeroso. Alcuni se ne sono resi conto: dalle 600 famiglie iniziali, si è passati prima a 5mila, fino alle odierne 15mila. Ma non sono ancora abbastanza, ce ne vorrebbero almeno il doppio, il triplo, ancora di più, per avere dati attendibili. L’unica cosa che si poteva capire, allora come ora, era se un programma era visto da tante persone oppure da poche. Nulla di più, certamente non con le percentuali (con addirittura i decimali!) che ci sono state sempre fornite.
E una volta non c’erano oltretutto i mille canali attuali, internet, tablet, smartphone con cui si vedono o rivedono i programmi televisivi, secondo i tempi di ognuno di noi, secondo i propri impegni quotidiani. Non solo il campione è oggi troppo povero, ma è l’intera metodologia di rilevazione che va cambiata alle sue radici. E forse non sarà possibile farlo, perché troppo dispendioso, e comunque imperfetti sarebbero i dati finali.
Allora, tanto vale rimanere nella convenzione, facendo finta che quelli siano dati attendibili. Basta che chi paga gli inserti pubblicitari ci creda o, meglio, finga di crederci. L’Auditel non è una vera truffa, come molti sostengono. E’ soltanto uno strumento che non può essere utilizzato, perché troppo carente. Tutto qui.
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