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Perché è così difficile dire che l’assassino di Fermo è un fascista

7 Luglio 2016

Leggendo la notizia dell’uccisione di Emmanuel Chidi Namdi, avvenuta ieri a Fermo, la prima cosa che salta all’occhio è che l’aggressore era un ultras. Lo indicano da subito nel titolo tutte le testate online, ribadendo il concetto nelle versioni cartacee di stamani. Come se fosse quella la vera discriminante, come se quella qualifica (ultras) fosse sufficiente di per sé a motivare l’orrendo crimine di cui è stato vittima il 36enne richiedente asilo nigeriano.

“Ucciso da un ultras”, titolano oggi in prima l’Avvenire, il Corriere della Sera e Repubblica. Solo approfondendo la notizia si scopre che gli aggressori (Repubblica, edizione online) erano “noti da tempo alle forze dell’ordine come elementi della destra fascista”.

Altri come il Fatto Quotidiano nell’articolo spiegano che ad aggredire i due nigeriani è stato “un gruppo di estremisti di destra, probabilmente ultras della squadra locale di calcio di Fermo”. Il primo elemento (l’appartenenza all’estremismo di destra) viene data come una certezza, il secondo (l’adesione alla tifoseria organizzata locale) solo come una probabilità. Eppure nel titolo si parla “ultras” e basta.

Alla fine, il collocamento politico dell’assassino, la sua prossimità a quelle formazioni politiche che da sempre indirizzano il malessere sociale contro gli ultimi arrivati (leggi immigrati), eletti oggi a emblema di ogni male è a bersaglio privilegiato del rancore sociale, viene evidentemente ritenuto di poco conto. Sicuramente il fatto di essere fascista è ritenuto meno importante del fatto di fare parte della tifoseria organizzata di una squadra di quarta serie.

Evidentemente, in virtù un processo di rimozione collettivo, si preferisce non chiamare le cose col loro nome, non dire le cose come stanno: a uccidere Emmanuel Chidi Namdi non è stato un ultras, è stato un fascista.

@carlomariamiele

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