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Per un pugno di like: Saviano e gli web intellettuali d’oggi
Se oggi Edmondo Berselli fosse ancora fra noi e volesse scrivere un sequel del suo “Cari Venerati Maestri” non saprebbe davvero a che santo votarsi. Se la sua penna arguta, intelligentissima e acuta volesse ironizzare elegantemente sugli intellettuali dei nostri giorni dovrebbe rivolgersi ai social e mettersi a scorrere post e commenti ai fatti di cronaca.
Questo esercizio faticoso e antiestetico lo porterebbe a breve ad accorgersi che, nell’anno domini 2016 in Italia, gli intellettuali sono stati sostituiti dagli web opinionisti.
Ai suoi tempi gli intellettuali avevano il mandato, mai ufficialmente formalizzato dalla società, di produrre elaborazioni che interpretassero la realtà. Oggi agli web opinionisti si delega il compito assai primitivo di farsi una opinione sui fatti cui mettere un “like”convinto.
La virtualità ha impigrito la società a tal punto da renderle faticoso anche solo ipotizzare un processo di produzione attiva di una coscienza collettiva.
La società (o quel che ne resta) si accontenta di mimetizzarsi dietro a questo o quel parere che proviene da personaggi cui appunto i “like” e non le “res gesta” hanno consegnato una patente di autorevolezza.
Il processo di massificazione e sputtanamento che Berselli già preconizzava nella sua “Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia” in cui la cultura di massa diventava un canto delle sirene cui i vari Magris, Arbasino e compagnia non riuscivano a sottrarsi in una dialettica talora stucchevole fra repulsione e fascinazione, pare ormai essere arrivato a conclusione.
E la conclusione si è tradotta in sostituzione degli intellettuali, dei “soliti stronzi” preparatissimi e cinici di berselliana memoria, in una generazione di cantanti, scrittori giornalisti, che dalle tribune di Facebook, Twitter e Instagram spiegano in tempo reale quello che succede, dalla politica alla cronaca alla ginecologia, senza nessuna preparazione o competenza ma solo perché, almeno una volta, hanno fatto qualcosa o detto qualcosa o scritto qualcosa che li ha resi noti, conosciuti ,e su questo hanno edificato altra fama non attinente, quella di demiurghi telematici di conoscenza.
Roberto Saviano recentissimamente ci ha offerto un saggio potente di questo fenomeno di tuttologia con finalità morali, commentando la tragedia del lavoratore migrante travolto e ucciso da un altro lavoratore durante un picchetto in un polo logistico a Piacenza.
Saviano esprime su facebook dolore e indignazione per questo gravissimo episodio ( e fino a qui…), poi con una rapida torsione del pensiero, si scaglia con argomentazioni strampalate contro la “triade sindacale” rea di essersi limitata a commenti di maniera da cui si evincerebbe che per i diritti dei lavoratori la stessa non nutre più alcun interesse.
Il ragionamento non tiene, soprattutto se si leggono davvero i comunicati di Cgil, Cisl e Uil, ma chi se ne importa? L’obbiettivo non è dare una valutazione dei fatti e costruire una interpretazione ponderata degli stessi, ma colpire un bersaglio comodo, tra l’altro prendendo spunto da un omicidio, il che non è proprio in linea con la narrazione epica che contraddistingue il mito del “Buon Saviano” sempre dalla parte del giusto.
Il bello però deve ancora arrivare. Il motivo del cinismo indifferente dei sindacati starebbe nel fatto che gli stessi si ritrovano la pancia piena dopo aver raggiunto l’accordo sulle proprie pensioni d’oro col Governo. Se nel primo passaggio Saviano straparlava, ora oggettivamente parla di cose che non sa e, forse animato dalla sindrome del Marchese del Grillo ( dico quello che voglio perché “io sono Saviano e voi non siete un c.), requisito imprescindibile per essere un web opinionista, lancia una freccia acuminata che sa di diffamazione gratuita.
Faziosità, livore, approssimazione, strumentalizzazione sono gli ingredienti di uno strale velenoso che non si spiega se non con la triste amara considerazione che per un “pugno di like” uno scrittore di un (solo) romanzo famoso e di tante battaglie (spesso solo mediatiche e televisive) contro il male in tutte le sue forme, è disposto a sacrificare la verità, che, diciamolo con linguaggio da social è “tanta roba”.
Saviano in passato si schierò al fianco dei braccianti agricoli sfruttati del meridione. Invitò uno di loro in TV, ne scrisse su Repubblica ( “L’ eroe qualunque, il ragazzo africano che si è ribellato ai caporali del Sud”). Diede visibilità ad un problema reale. Fece una cosa giusta, importante. Il bracciante era un sindacalista della Cgil, alla luce quindi del post in questione, un meschino “attento ai privilegi di pochi che non tiene in alcun conto i diritti di molti”.
Roberto Saviano è considerato da molti soprattutto nella composita galassia della sinistra cosiddetta radicale, un intellettuale di primo ordine.
Un ditino saccente puntato a rotazione basta quindi a fare di una opinione personale e “pancista” una elaborazione pensosa in cui con soddisfazione riconoscersi. È la tirannia della Doxa.
Questo è ciò che si contrappone alla filosofia della semplificazione baldanzosa incarnata da Matteo Renzi e dalla sua narrazione: una semplificazione meno diretta travestita da pensiero, ma che in realtà in fatto di approssimazione e pochezza gareggia alla pari con la prima.
In molti si sono lamentanti del fatto che di fronte a certe azioni e iniziative del Governo gli intellettuali siano stati e continuino a stare zitti.
La risposta, facile quanto tremenda è che forse oggi gli intellettuali non esistono più, almeno a queste latitudini, e che al compianto Edmondo Berselli mancherebbe comunque la materia prima per regalarci perle di “intellettuale” e sagace ironia.
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