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Notizie sui social: ecco come le “leggono” gli italiani

18 Giugno 2015

Proprio mentre iniziavo a parlare di giornalismo, e ne parlo tutti i giorni, credetemi, praticamente da quando mi arriva la rassegna stampa al mattino, è arrivato fresco fresco il nuovo report sulle notizie digitali del Reuters Institute che ci racconta un bel po’ di cose sul mondo dell’informazione globale e perchè no anche locale (si dice anche g-local, a quanto pare).
Direi subito che i numeri analizzati dalla ricerca fatta dall’agenzia, a livello mondiale, sono davvero tantissimi: si parte da 20 mila fruitori di notizie sparsi un po’ ovunque: Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Germania, Francia, Italia, Spagna, Danimarca, Finlandia, Brasile, Giappone e Australia.
I social media hanno avuto, manco a dirlo, un ruolo rilevante e mentre l’uso dei formati “mobile” abbia finalmente preso piede, possiamo dire senza ombra di dubbio che internet fruito dai computer desktop sia ormai in totale declino, mentre sia aumentato il consumo di videonotizie online (ne avremo molto da parlare in futuro).
Ma andiamo con ordine facendo un breve riassunto dei dati otttenuti dal Reuters Institute:

Mio caro telefono. Per quanto riguarda i telefoni e i tablet emerge che l’utilizzo degli smarphone per leggere le notizie ha fatto passi da gigante, mentre quello dei tablet è rallentato. Circa metà dei lettori di notizie online usa due o più piattaforme digitali mentre un quarto dice che il telefono è il loro principale messo per rimanere connessi alla rete.
Basta coi media tradizionali! È aumentato l’uso di servizi digitali che producono contenuti per il mondo dei telefoni e per i social. Buzzfeed ha raddoppiato la sua portata negli Stati Uniti, si avvicina all’Huffington Post e a Yahoo News. Bisogna però anche ammettere che un buon 74% accede ancora ai quotidiani tradizionali su carta o online mentre l’89% guarda ancora la tv o ascolta la radio.
Fare soldi coi giornali? La vendita dei quotidiani è ancora in costante calo in molti paese, ma gli utenti non sono disposti a pagare per avere notizie online (il cosiddetto paywall), solo il 6% dei lettori paga per le notizie in Inghilterra e il 14% in Finlandia (le zone nordiche sono anche molto avvezze, lo sappiamo, al free press). Gli utenti sono poi disgustati dalla pubblicità online, il rischio di allontanamento dalla pagina è sempre altissimo.
W i social! Facebook è diventato un grande distributore di notizie (lo abbiamo detto la volta scorsa). Circa il 41% degli utenti del sondaggio lo usa per avere notizie, tanto non credete? I Brasiliani arrivano a fidarsi di lui nel 70% dei casi, i Giapponesi molto meno (11%) ma c’è anche da dire che l’utilizzo di social locali nel loro caso è altissimo.

Bene, ora parliamo più specificatamente di social (i dati sono tantissimi, potete leggerli nel report completo, se avete voglia).
Abbiamo capito che la fiducia che gli utenti dimostrano nei media tradizionali è ancora molto alta, ma si stanno tutti rivolgendo all’ormai immancabile smartphone per avere notizie. Il tablet, grande e difficile da portare in tasca, è meglio lasciarlo a casa, magari leggerci un libro o usarlo comodamente sdraiati sul divano.
Facebook è diventato un mezzo importantissimo per leggere e diffondere le notizie (più di Twitter, ebbene sì, tant’è vero che l’algoritmo sta cambiando proprio in funzione di questo), fare vedere brevi filmati che partono da soli, o coinvolgere gli amici. È ancora il social dominante, Zuckerberg non ha nulla da temere, anche perché è forse l’unico con cui si possono fare ricerche, letture, si possono vedere video, commentare le news, insomma si può fare davvero di tutto. E poi è un social utilizzato da una diversissima tipologia di utenti, dai più giovani ai più anziani. La crescita esponenziale di Whatsapp e Instagram tra i giovani ha fatto in modo che Fb si muovesse di può e incrementasse la propria potenzialità.
Altri paesi utilizzano social localizzati: Line è molto popolare in Giappone; Viber ha raggiunto dati significativi in Irlanda e Australia, la Finlandia ha visto crescere la “chat network” Suomi 24, mentre la Francia continua ad essere la patria di Daily Motion, un popolare “video network” che è stato largamente usato durante l’attacco a Charlie Hebdo (approfondimenti in futuro).
Caso strano: Whatsapp è usata dappertutto tranne negli Stati Uniti, mentre ha avuto un ruolo rilevante nelle elezioni brasiliane dello scorso anno.
Mettiamola così: guardiamo le notizie su Twitter e poi le controlliamo su Facebook. Niente paura, lo faccio anche io, rimangono pur sempre i due social più importanti per le notizie date che quelle ricevute. Reuters dice che ben il 62% degli utenti che leggono news su Twitter lo fanno perchè ritengono che sia il mezzo più adatto, mentre il 57% degli utenti su Facebook legge notizie sulla piattaforma perché si trova lì per caso, il restante 38% è un profondo conoscitore dell’informazione e usa Facebook per tenersi informato, ma non gli interessa avere notizie “fresche”, preferisce approfondirle e vedere cosa gli offrono i media attraverso Fb.
Utilizzare i social a scopo politico per ampliare un discorso di informazione può essere poi abbastanza utile in Australia, Italia e Regno Unito, dove circa il 20% degli utenti censiti segue sui canali un partito politico o un diretto rappresentante, gli Stati Uniti fanno meglio con il 28%.

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E l’Italia? Vediamo cosa dice Reuters.
La televisione (siamo un popolo da Pippo Baudo) è ancora la fonte principale di notizie per gran parte della popolazione. La famiglia attorno alla scatola parlante che guarda il tg della Rai non smette di passare di moda mentre prendono spazio (finalmente!) i nuovi canali all-news come Sky Tg24, TgCom, RaiNews24 che, tra l’altro, iniziano ad avere una reputazione altissima per quanto riguarda le notizie.
La stampa è ancora fortemente “regionalizzata” e – secondo l’agenzia – riflette la storia del paese e il proprio carattere frammentario. C’è un buon 47% degli italiani che non legge mai il giornale, mentre l’offerta online delle diverse testate continua a diversificarsi. Il giornale più letto e ritenuto più attendibile è Repubblica, ma anch’esso fatica ad adeguarsi a quello che richiedono i propri lettori e a modelli di business sostenibili (quali?) soprattutto andando incontro all’aumento dell’utilizzo dei telefoni. Ci sono molti siti di news che stanno perdendo popolarità, mentre sempre più persone utilizzano i social media e le app per avere e condividere notizie.
I giornali continua il suo declino, ma gli abbonamenti alle versioni digitali non bilanciano affatto la perdita delle copie vendute. Molti quotidiani nazionali hanno chiuso (Pagina 99, La croce, L’unità che però tra breve riapre) e le redazioni sono sempre più ridotte all’osso: negli ultimi 10 anni i quotidiani hanno perso almeno il 30% dei giornalisti (a dirlo è uno studio della Bocconi).
E se ci sono problemi, i paywalls non sembrano davvero essere la soluzione dato che continuano a non essere usati privilegiando sempre le notizie gratis ma con tanta, tantissima pubblicità creata ad hoc e talvolta mescolata alle notizie stesse che crea solo confusione e non si distingue affatto dai contenuti editoriali. Male!
Guardando le testate online, la più guardata è Repubblica (29%), seguita da Google News (22% anche se mi sembra strano considerarlo come un “brand journalism”) assieme all’Ansa (22%) e poi dal Corriere (19%), è curioso vedere anche come sia considerato una fonte di informazione il Blog di Beppe Grillo (8%).
Per l’informazione sui vecchi media invece non c’è storia, i tg nazionali sono ancora guardati tantissimo (61%) con il tg di Chicco Mentana che supera Rai News e Sky Tg24, mentre rientrano nella classifica anche contenitori come Ballarò, Porta a Porta, Servizio Pubblico, Piazza Pulita o 8 e mezzo.
Sotto un punto di vista social, agli italiani piace informarsi tramite i networks, il 55% usa Facebook, il 25% You Tube e il 16% Whatsapp, mentre Google+ Twitter rimangono rispettivamente all’11 e al 10%. La sorpresa è ovviamente Whatsapp, ma le testate non la usano – e non la reputano importante – tranne Repubblica che ha lanciato un servizio di notizie istantanee proprio a gennaio 2015 (criticato da molti) e probabilmente non sanno ancora che il 39% di chi legge una notizia la condivide via mail o tramite social, di certo in pochi usano Twitter o Google+ per farlo.

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Il rapporto della Reuters ovviamente offre tantissimi spunti di riflessione che spero di fare nei prossimi giorni, ma intanto mi piacerebbe soffermarmi su una cosa: sia per la creazione di notizie, che per la diffusione e per l’analisi dei dati sembra impossibile fare a meno di uno strumento come Facebook.
Si è venuto a creare una sorta di cerchio comunicativo in cui un’informazione prende vita in un dato momento, viene vista, analizzata, controllata dal giornalista e poi viene elaborata rimettendola in circolazione sullo stesso canale dove poi si andrà anche a ragionare circa la portata della notizia, il suo grado di fruizione, accesso, su tutti i parametri comunicativi che una buona redazione dovrebbe avere, e che dovrebbero avere anche i giornalisti dai giovani collaboratori ai più attempati redattori.
Si perché non ha senso utilizzare a metà un canale importante come quello sociale, che sia esso Facebook o Twitter, anzi, è possibile integrarlo: si cerca la notizia su Twitter, si condivide su Facebook, si commenta di nuovo su Twitter.
Su Fb si discute coi propri amici, su Twitter con una pletora di utenti che non cessa di aumentare e che vive proprio nel momento. Non è un caso che Facebook abbia deciso di privilegiare le “notizie principali” lasciando agli altri il compito dell’immediatezza da 140 caratteri.
In Italia non usiamo – noi giornalisti o editori – Whatsapp, viene da chiederci per quale motivo dato che il trend degli utenti è quello di scaricarlo e usarlo sempre di più. Lo usano le radio, i piccoli giornali locali, perché non ci si adegua anche a livello nazionale? Per paura di regalare le notizie? Non le si vendono comunque, dato che il paywall non funziona. Che fare? Questa una gran bella domanda. Ci sono modi per rendere una notizia remunerativa senza dover per forza mettere di mezzo l’odiosa pubblicità invasiva quanto ormai subdola?
Adesso mi metto a leggere, online, il saggio “The Rise of Mobile and Social News – and What it Means for Journalism”di Emily Bell, docente presso la scuola di giornalismo dell’università della Columbia, se troverò delle risposte, ve le dirò alla prossima puntata.

Ah, dimenticavo…e periscope? Alla Reuters non è ancora pervenuto.

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