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Non sappiamo un cazzo ma siamo certi su tutto
Dice che non ha guardato Sanremo, che non è un radical chic, che non si tratta di un vezzo antisociale, di un tema per far discussione. Dice che non sa niente. Poi dell’auto-battesimo di Achille Lauro, di Grignani e di Drusilla è al corrente. Del resto, siamo passati dalle maratone di Mentana, agli speciali cartacei e web sul Quirinale, alla copertura massmediatica e social del festival con la medesima onnivora e totalizzante disinvoltura. Quindi a meno che uno non viva in ritiro senza connessione, è del tutto impossibile che non sappia niente. Un po’ come per il Colle, un po’ come per il Covid e l’opera omnia di Salvini dal Papeete al disfacimento della coalizione di centrodestra. Eppure, dice di non sapere nulla. Tutto ciò che può conoscere, dice, sono le opinioni dei commentatori. E viene da pensare che abbia ragione, che non sappiamo in realtà assolutamente nulla di nulla. Esprimiamo opinioni su tutto, dal bonus 110 alla variante omicron delle fogne di New York, al quasi-conflitto ucraino, alla discussione sul carcere ostativo. Esprimiamo opinioni sul nulla, confortati e supportati da un’informazione che è diventata un opinionificio. Dice persino che l’errore consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed esser appassionato, rammemorando il monito gramsciano. Ma la verità, dice, è che non sappiamo nulla ma siamo certi di tutto. Crediamo anche di sapere di Dio senza credere. A mancare non sono le parole, a tal punto che l’abuso dovrebbe essere considerato un reato. Quella che è venuta meno è la domanda, il dubbio, l’inquietudine del non sapere che provoca il desiderio di cercare, scavare, andare sino in fondo all’orrido del fosso.
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