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Niente in “prima” per Boschi e De Bortoli, Il Corriere dà l’addio al giornalismo
Anche un po’ sognatore, il giornalismo del novecento credeva di contare. Pensava, con quel tratto di ingenuità caro alle categorie un po’ snob, che esistesse una relazione diretta tra cose scritte, pubblicate, e i lettori di riferimento. Cosicchè si potesse dire, a operazione-aggancio conclusa felicemente, che l’opinione pubblica aveva avuto un suo peso fondamentale nel modificare certi assetti sociali, a far dimettere un politico, ad esempio, un manager corrotto, ecc. (ricordate l’espressione «il peso dell’opinione pubblica»? Ecco). In questo modo, al giornale ritornava indietro tutto il merito, con relativa autorevolezza, di aver scoperchiato un pentolone maleodorante. Il tutto aveva come punto centrale quello che oggi chiameremmo un semplice vezzo: le notizie. Gente tosta di quei tempi avrebbe ammazzato la mamma, per una notizia. E naturalmente il padre, per nasconderla. Perché le notizie si nascondevano anche all’epoca, poche storie. Ma era tutta gente di sangue. Per cui, se questo racconto oggi vi appare come un almanacco ingiallito della storia, e ne provate persino quel minimo fastidio, è perché sui giornali ormai le notizie non ci vanno più. Non solo perché qualche cattivone non vuole pubblicarle. No. Non ci vanno perché non sono più parte del core business aziendale. Com’è giusto che sia – nessuno sta sempre sulla stessa mattonella – è in atto un’evidente evoluzione culturale. Ognuno giudichi se quel mondo gli piace. Dai primi riscontri, più che una soddisfazione generale, si nota un’assuefazione generale, da qui all’atarassia il passo non dovrebbe essere troppo lungo.
Quello che è accaduto in questi due giorni al Corriere della Sera segna un prima e un dopo nelle relazioni giornalistiche. Forse proprio nella storia del giornalismo moderno. Lo dirà qualche storico tra un po’ di anni, per l’intanto noi qui si vorrebbe dire di quel che è incredibilmente successo intorno al libro di Ferruccio De Bortoli e la rivelazione di una pressione* di Maria Elena Boschi sull’allora amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni. In questa storia anche un po’ maledetta c’è anche del sentimento, quel che generalmente una redazione prova per un direttore che ne è stato parte molto, molto, importante. Ognuno la penserà diverso, ma Fdb è stato importante per il Corriere. E dunque se il suo vecchio, caro, giornale, si occupa di lui, del suo libro in uscita, se insomma, com’è naturale che sia, gli confeziona un’appassionatissima “marchetta” di due pagine (!), le cose andrebbero fatte bene. E qui da un certo punto di vista, dall’atarassico punto di vista di questi tempi amari, le cose sono state confezionate sin troppo bene. Nel senso che la corposissima anticipazione era priva di quel che qualche ora più tardi sarebbe diventato un possibile scandalo. Non una riga dunque sull’episodio Boschi-Ghizzoni. Come disse Bettino Craxi, quel profetico 3 luglio del ‘92 , «presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro». I fatti, appunto. Le notizie, per noi.
Già tutto questo avrebbe un senso se non compiuto, almeno molto bizzarro. Può starci la disattenzione, può starci la sottovalutazione, può starci la pressione politica, può starci la censura. Diciamo che dentro questi confini, i confini di 24 h. di un quotidiano, tutto può starci e tutto non può starci. Tranquilli, è capitato un sacco di volte anche nel novecento. C’è chi sarà molto malizioso, chi lo sarà di meno, chi per nulla, dicendo magari che l’episodio conta nulla e dunque perché parlarne. Il diavolo però in questo caso si è incazzato duro e l’episodio Boschi-Ghizzoni-Unicredit si è trasformato in un bordello politico.
È qui, il secondo giorno, che nella sua storia il Corriere si è sempre rimesso in piedi. Con la consapevolezza che essendo scappati i buoi, è del tutto inutile, ovviamente dannosissimo, reiterare un altrove, un pascolo gentile dove far brucare le caprette, mentre là fuori sparano. È qui che in tempo di comiche e pericolose fake news, il Corriere ha deciso di superare ampiamente tutto il dibattito sulle post-verità confezionandone una tutta sua, originalissima: «assenza, più acuta presenza» (cit. Bertolucci). Ha pensato che sulla sua prima pagina del giorno dopo, che racchiude sentimenti e sensibilità di un’intera classe sociale liberale, quella notizia non dovesse comparire anche se con il passare delle ore si era fatta scandalo. Straordinario, caro direttore Fontana. Cosicchè, quel che si poteva valutare magari con più benevolenza il giorno prima, il giorno dopo assumeva i tratti torvi di una strategia.
Ingenuamente, appunto, questa mattina chi scrive credeva di ritrovare i lettori in fila alle edicole a chiedere indietro i loro soldi, sicuri d’essere stati truffati in quel patto di fiducia che governa il rapporto con il loro quotidiano. Si pensava d’essere ancora in quel secolo là, quando qualcuno si incazzava. Le edicole invece erano vuote. E non si riempiranno più.
*Ieri, due ore dopo la pubblicazione di questo articolo, durante la presentazione del libro svoltasi al Teatro Parenti di Milano, Ferruccio De Bortoli ha precisato la propria posizione confermando quanto scritto e sottolineando che il tema che si poneva, in questo caso, era quello dell’eventuale conflitto di interessi del ministro Boschi, non quello di pressioni che non risultano essere state da lei esercitate.
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