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Morte e resurrezione di un creativo

11 Giugno 2015

Ho vissuto molte vite nonostante abbia da poco superato i trenta. Il principio ve lo risparmio ché è uguale un po’ per tutti.

Sono stata una liceale primo banco e qualche giretto fuori dalla porta nell’ora di scienze naturali. Ho studiato il latino oltre all’inglese, il francese e il tedesco. Per 5 anni, sveglia puntata alle 5.45 e rientro a casa alle 15.30, dal mare ai Castelli Romani, il mio mondo stava tutto in una scuola di provincia intitolata a James Joyce che, in verità, ho sempre ignorato. A 13 anni ho incontrato Malcolm X e ho smesso di giocare a pallavolo.

Sono stata una studentessa universitaria di scienze politiche impenitente e mai pentita. A Roma ho evitato i collettivi universitari, a Bologna ho provato la vertigine della conoscenza e la gioia di condividerla. A 21 anni mangiavo una baguette al giorno in un appartamento signorile e polveroso nella via di Serge Gainsbourg, a Saint Germain-des- Prés. Poi sono volata in Ghana per capire che succede quando i cinesi incontrano gli africani e costruiscono la più grande diga dell’Africa occidentale.

Sono stata giornalista free-lance per un quotidiano nazionale. Ho scritto storie di imprenditori italiani che in India sono andati per necessità e, a volte, per passione. Ho viaggiato tra Nuova Delhi e Mumbai facendo interviste mentre il paese vinceva la sua seconda coppa del mondo di cricket. In questa vita, sono stata anche ricecatrice in economia internazionale in un centro studi a pochi passi da Piazza del Popolo, a Roma, non a Shanghai.

Qualunque vita stessi conducendo, che fossi felice o triste, la mia famiglia, gli amici, i conoscenti, i potenziali datori di lavoro, tutti mi ponevano sempre un’unica grande domanda: ma tu cosa vuoi fare?

Finchè un giorno di settembre del 2009 ho ricevuto una telefonata da un signore distinto e gentile, fondatore di un’agenzia di comunicazione con base a Londra, e dopo 30 giorni ho cominciato un’ altra vita.

Sono quello che scorrendo l’organigramma dei grandi media internazionali è definito come un Creative Solutions Manager. Ho fatto ricerca e scritto per spot e trasmissioni promozionali su alcuni stati del Delta del Niger andati in onda su BBC e CNBC. A Jakarta, in Indonesia, ho intervistato politici e milionari per un nuovo format digitale molto apprezzato dal New York Times.

La mia è una nuova professione nata sì, come altre, dalla crisi globale dell’editoria, ma anche dalla volontà, e quindi dal bisogno, di responsabilizzare la pubblicità facendole dire, finalmente, cose interessanti e utili per la collettività. E’ in atto, infatti, una grande rivoluzione nel mondo della comunicazione che, a poco a poco, porterà ambiti diversi – il giornalismo, il marketing, la pubblicità – a parlarsi, utilizzando un linguaggio che rimanda all’uomo e alla sua esistenza più che al lettore, all’utente o al consumatore.

Nelle redazioni dei giornali, nelle divisioni comunicazione e marketing delle multinazionali e in alcune agenzie di pubblicità internazionali sono già in corso importanti riorganizzazioni interne e l’ inserimento di nuove figure professionali. Ho raccontato delle mie vite per dire che oggi come non mai si avverte la necessità di interpretare e comunicare una realtà sempre più complessa attraverso sguardi e approcci molteplici, includendo i saperi e le competenze di professionalità a lungo svalutate e non considerate come il sociologo, l’antropologo e l’artista.

Anche se ad oggi non c’è dato sapere se tutto questo fermento darà vita ad un nuovo paradigma comunicativo, chi decide di stare in questo tempo e di esserne protagonista non può che sentirsi un esploratore avventuroso che attraverso la scoperta e, talvolta, la riscoperta della propria creatività arriva ad una terra dimenticata, quella degli uomini, dove valori e relazioni sono il bene più prezioso e il potere di immaginare altri mondi possibili patrimonio di una collettività in evoluzione.

 

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