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Il derby dell’editoria e la fusione delle mediocrità milanesi
È finalmente ufficiale la nascita del nuovo colosso dell’editoria italiana: con l’acquisizione di RCS Italia (ad esclusione di Adelphi), Mondadori diventa infatti il maggiore attore editoriale sul mercato italiano con una quota vicina al 35%. Sugli effetti di questa operazione, e se essa rappresenti o meno un’opportunità di sviluppo per il settore nel nostro paese, già altri, e su questo stesso giornale, si sono autorevolmente espressi.
A me preme più che altro suggerire un’analogia, una semplice riflessione che, nel paese dove il pallone rappresenta l’unico idolo totemico in grado di generare consenso trasversale o, quanto meno, attenzione vigile, casca proprio a fagiolo rispetto a questo fatto sicuramente sicuramente di rilievo per il panorama della nostra industria.
Penso in particolare alle sorti terrifiche e progressive delle compagini milanesi che si sfidano in serie A: con fortune alterne ma in modo piuttosto similare, Inter e Milan condividono da anni un destino che ricorda, più che la conquista dell’Europa che conta, la discesa nel Maelstrom della mediocrità calcistica.
Il grafico seguente, ritornando all’editoria, indica soltanto la quotazione azionaria negli ultimi 6 mesi delle due case editrici protagoniste della fusione. Esso è piuttosto utile a cogliere lo spunto per l’analogia:
La nascita di Mondazzoli rappresenta davvero il frutto di una strategia industriale? Di una visione di lungo periodo volta a intervenire sul mercato per reagire di fronte al cambiamento e vivere da protagonisti una nuova stagioni di successi?
O si tratta, piuttosto, di una mossa dettata dall’urgenza?
Due gloriose aziende dell’editoria italiana, infatti, subiscono la trasformazione in atto nel settore media-editoria e, di fronte a un indebitamento implacabile e a prospettive fosche, si fondono per mettere a sistema la malinconia.
Ecco dunque l’analogia: per ora è soltanto una provocazione, ma capita spesso che, anche per quanto riguarda il calcio, autorevoli personaggi la buttino lì.
Lo hanno fatto Paolillo, già direttore generale dell’Inter, e lo ha fatto anche Raiola: avrebbe senso che Inter e Milan, trafitte da una situazione debitoria piuttosto disperante, pensassero a fondersi in una sola squadra. È una possibilità da esplorare senza pregiudizi e senza sogni di gloria: si tratta piuttosto di una strategia aziendale volta a salvare il salvabile.
E questo mentre da un lato l’Inter, dopo un presunto mercato condotto da regina, silura il suo direttore sportivo, Fassone, principale tessitore e responsabile dello stesso (si è mai visto un manager che, dopo un’operazione di successo, viene licenziato dalla sua azienda?). Il tutto come se nulla fosse.
E dall’altro il Milan, che ha per mesi fatto credere al suo popolo di essere intenzionato in modo deciso a costruire un nuovo stadio di proprietà, con tanto di ok ufficiale della Fondazione Fiera per il progetto, torna sulla propria decisione abbastanza inaspettatamente. “Scusate, ci siamo sbagliati: restiamo a San Siro e non se ne fa più nulla”.
Così, pare a me che il glorioso destino di Mondadori e Rizzoli, più che uno sguardo sfidante verso il futuro, suggerisca allo stesso modo più una dilazione di mediocrità. Un semplice rifornimento alla flebo della sopravvivenza fatto per necessità e senza un preciso disegno industriale: di preciso, qui, c’è solo infatti la marea di esodati, esuberi e vertenze sindacali che saranno e sono il primo effetto di questa nuova fusione.
Un caro e vecchio derby dell’editoria, di fatto salutare per l’intero settore, che si trasforma invece in una rassegnata decadenza, solo spostata su un altro ritmo.
E con le curve sempre più deserte di lettori che si procurano le loro letture decisamente altrove.
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