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Molinari, Repubblica e la sinistra che fu
Alti lai si levano sui destini non della Repubblica ma di Repubblica anche su Glistatigenerali (qui), orazioni funebri su ciò che fu e che con la nuova proprietà non potrà mai più essere: il faro della Sinistra (scritto con la maiuscola) che squarciava le tenebre della politica italiana, dialogando oltretevere, portando il Voi a coincidere con l’Io in una catarsi che emancipava dalla triste controfigura politica della (minuscolo) sinistra politica in Parlamento dando finalmente soddisfazione identitaria al prezzo di un abbonamento.
Autori del funerale sarebbero il Presidente di una multinazionale che di italiano secondo gli Alti Lai ha solo un prestito garantito e il suo scudiero, promosso per fedeltà da un giornaletto di provincia al Quotidiano (maiuscolo) abbandonato dagli infidi eredi di un Imprenditore Illuminato (sempre maiuscolo, punto puntoevirgola e due punti a capo).
Non incontro Maurizio Molinari da moltissimi anni, da quando si frequentavano stanze dove il rigore intellettuale si sposava con solide preparazioni culturali, presupposto inscindibile e richiesto per praticare la politica. Stanze che avevano precisi riferimenti nella sinistra laica, riformatrice non riformista, filoatlantica, filoeuropea, filoisraeliana e che vedeva il futuro dell’Italia declinato in una gestione del bilancio pubblico rigorosa nei numeri e virtuosa nel risanamento, nelle riforme e nella crescita del Paese. In una parola, ciò che la sinistra di allora non sapeva essere ma che in molti momenti Repubblica sostenne e condivise. Stanze che dispersero la attività politica, non le idee, non le capacità perché ogni volta che “sul divano col cocktail in mano” si fa l’elenco di chi le frequentò si rimane sorpresi per il livello e per quanti sono in prima o primissima fila nel giornalismo; se ne dimentica sempre qualcuno e rimane il rammarico che quel patrimonio si sia disperso perché, coerentemente, ognuno di essi ha percorso la strada professionale per merito individuale e non grazie alle solidarietà offerte da una militanza collettiva.
Che Repubblica dopo gli errori nel periodo di Tangentopoli e le frequenti oscillazioni rivendute come integerrime coerenze riscopra un filone culturale che aveva dimenticato ma che stava nella sua storia personalmente mi fa un gran piacere. Che qualche lettore non se ne renda conto o non se ne ricordi è il frutto della dotta ignoranza di questo quarto di secolo. Che se ne lagni è il segnale della fine culturale della Sinistra e politica della sinistra: di quella che pensava che essere di sinistra fosse concesso solo a chi, partito da comunista o socialista o nella sinistra DC avesse attraversato, magari su sponde opposte ma sempre rivendicando una primazia morale, un deserto culturale autoprodotto. Una sinistra (maiuscolo o minuscolo fate voi) convertita al capitalismo approcciandolo come una ideologia salvifica (spesso per le finanze individuali) e non per quello che è: una teoria applicata sul ben più importante fondamento delle libertà individuali e del libero mercato (direbbero orrendamente sbagliando ma per salvarsi l’anima persa: “roba da liberisti”).
Non so dove Molinari intenda “prendere” lettori, non faccio il suo mestiere, al lavoro come si dice è il primo che arriva e l’ultimo che se ne va. Nel passato quelle nostre stanze avevano il Corsera nella mazzetta insieme ad altri sei o sette ma sempre per primo: la mazzetta non esiste più e anche il Corsera non pare stare benissimo. Ma so una cosa, che un giornale progressista guarda al suo e nostro futuro discutendo problematicamente con i suoi lettori privo di certezze massimalistiche e soprattutto non può permettersi di avere il torcicollo o rimanere nel passato. E so un’altra cosa da sempre: si può essere di sinistra senza appartenere al filone culturale marxista. Anzi, secondo me di Sinistra (maiuscolo) in quelle militanze non c’era molto se non la autoconvinzione e non ne è rimasto nulla. Chissà mai sia un piccolo passo per la carta stampata ma un buon passo per la sinistra e per il Paese.
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