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Malenkaya! Ma se non sei tu non me lo dire mai
Pedro Almodóvar, acuto osservatore del grottesco, lo aveva evidenziato nel suo film Volver, nel 2006: il cinismo della televisione, culo e camicia col trash, contaminazione disgustosa del dramma personale e dell’esibizione del dramma sfocianti nello sfruttamento e nel godimento collettivo del dramma stesso, come fosse un piatto di portata in un menù perverso che è comunque il pasto quotidiano di milioni di telespettatori.
“Agustina ha il cancro. Ma non devi innervosirti, perché sei tra amici. Un grande applauso per Agustina.” Questo dice la conduttrice tv Yolanda Ramos intervistando Agustina, Blanca Portillo.
La banalizzazione della sofferenza, spacciata come un bagno catartico mentre è solo un nutrimento di bassissima lega per un pubblico sempre più affamato delle sofferenze altrui. Stigmatizzato in un capolavoro della cinematografia ma ogni giorno superato orribilmente dalla realtà.
Non ultima la vicenda tristissima della falsa Denise Pipitone, una ragazza russa che, apparentemente, in una trasmissione spazzatura della tv russa piange cercando i suoi veri genitori, coinvolgendo un enorme pubblico che parteggia per i suoi gladiatori della lacrimuccia.
Il cinismo dei conduttori russi, che addirittura presentano il risultato del gruppo sanguigno della giovane in una busta da svelare dopo un’ora di tira e molla coll’avvocato dei Pipitone, in stile Maria De Filippi, è veramente disgustoso.
Immaginiamo le ferite aperte dei genitori di Denise, la speranza che si riaccende, l’abisso che si riapre dopo l’annuncio che il gruppo sanguigno della giovane russa non è quello della loro figlia. La nuova Anastasia, la Malenkaya dei poveri, ben lungi dal fascino e della granduchessa vera e della Bergman, stavolta non ha attaccato.
E poi la tv che mostra i selfie, i video della fanciulla russa sui profili Instagram e facebook, che ha il suo momento di celebrità che probabilmente sfrutterà nelle prossime settimane, presenziando questa o quella trasmissione, nello stile di Angela da Mondello. Cinica anche lei, Olesya, colla lacrimuccia al momento giusto, un sorriso, un’occhiatina, e chissà quanti gettoni di presenza e contratti per il dopo, tanto ormai è un prodotto televisivo colla sua schiera di adoratori e consumatori: settantamila followers. Settantamila sciroccati, probabilmente russi, in maggioranza, complici dello sberleffo al dolore.
Un frullatore di spazzatura mediatica che imprigiona e coinvolge, loro malgrado, i protagonisti di quell’episodio tristissimo, i genitori di Denise per primi e anche i presentatori di “Chi l’ha visto?”, disturbati pure loro dagli eccessi russi, e che lascia l’amaro in bocca a chi ha ancora un minimo di dignità e di speranza.
Ma questo non è che l’ennesimo episodio di sciacallaggio mediatico, la spettacolarizzazione del disagio. Spegnere la tv è la cosa migliore da fare. E forse inviare un messaggio di solidarietà ai genitori di Denise.
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