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L’opinionismo posticcio ha rotto i maroni!
Penso sia arrivato il momento per tutti quelli che fanno comunicazione di metterci davvero la faccia, come si suol dire. E, se è quella senza trucco e parrucco di quando si è appena svegli, tanto meglio! Intorno alla pandemia e al lockdown, tanti opinionisti, pensatori di ogni sorta e blogger professionisti hanno intessuto la loro bava vischiosamente retorica per intrappolare il consenso degli sprovveduti. Certi operatori del settore vivono di “like”, adeguandosi miseramente alla consuetudine dei social, nutrendosi dell’attenzione di chi è abituato a pensare per stereotipi, a parlare per processo di imitazione, ad agire per luogo comune.
Mai una volta, nemmeno in occasione di traumi collettivi tanto compassionevoli, che questi patetici scalatori della solidarietà infiocchettata, ospitati su testate anche importanti del panorama mediatico nazionale, prendano posizioni ragionevolmente critiche e responsabilmente analitiche, propensi come sono a trasformare qualsiasi evento, finanche una sciagura sociale, in una ghiotta opportunità per produrre la loro stucchevole e infelice letteratura. Come se la capacità di osservare un fenomeno, vicino o distante da noi, non fosse data dall’abitudine a guardare alla vita con gli occhi di chi cerca una verità da riscontrare e rivelare, al di là di ogni compiacimento e con il coraggio di chi non si preoccupa unicamente di raccogliere consensi facili, o di disporsi in un atteggiamento mellifluo per piacere quanto più è possibile.
Chi scrive di cronaca, esprimendo pareri, sensazioni, invettive, avrebbe il dovere di rivolgersi a un pubblico intelligente, sensibile, avveduto, sforzandosi in ogni circostanza di esserne all’altezza. Coloro che acchiappano col retino i sentimenti generalizzati e largamente condivisi di una moltitudine, che contempla il dramma come il racconto del giorno a cui partecipare, quasi mai elaborano un pensiero utile, costruttivo, genuinamente critico. Ecco il punto cruciale! Agli opinionisti dei miei stivali, così come a tanti italiani, piace parlare del dramma senza sentirsi parte del dramma. Senza comprenderne i risvolti, dunque. Senza capirne fino in fondo la complessità, l’inquietudine, il patimento. Tralasciando la minutaglia più o meno popolare e ambiziosa, chiedo, da ultimo degli osservatori (la posizione mi è confacente e non è la scelta di un luogo retorico), che paese sarà mai quello in cui il mainstream della comunicazione avverte l’esigenza di diffondere notizie false circa l’irresponsabilità di determinati cittadini, piuttosto che altri, di ridurre a una questione eminentemente politica un disagio collettivo di natura medica e psicologico, di mettere in rilievo i pareri poco intelligenti di personaggi notoriamente minchioni, come se si trattasse di illuminazioni straordinarie di menti superiori?
Davvero si può far leva su qualcosa di diverso dalla ragione per eseguire l’attività di comunicatore? E si può esprime il proprio parere prescindendo dal concetto di “razionalismo critico”, introdotto da Popper? La ragione degli opinionisti, nella ricerca del vero, ha un compito meramente critico, che non si sposta di un millimetro dai binari dell’onestà intellettuale, dal metodo rigoroso della ricerca, dalla purezza di stile. Le “verità” affermate e diffuse in maniera apodittica qua e là, appartengono a chi non ha pratica dell’indagine analitica. E sono tipiche dei social, che offrono spazi adeguati per celebrare il trionfo dell’intelligenza totalizzante. Ma, anche qui, talvolta, tra i “legionari” definiti da Eco, si possono leggere osservazioni pertinenti e acute, che si distinguono alla maniera delle stelle marine come in un fondale melmoso.
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