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Lo temevamo, è accaduto: 1993 di Sky è patacca intera, persino peggio di 1992

17 Maggio 2017

“Da un’idea di Stefano Accorsi” non è solo il tormentone social che accompagnò «1992», la serie Sky sul disfacimento della prima Repubblica, dicitura che il medesimo pretese nei titoli di coda. Il nostro attor giovine ebbe davvero un’idea, ma chissà come mai nessuno vi spiega che il lavoro di sceneggiatura ampliò decisamente lo spettro di indagine sul Paese, non fermandosi semplicemente alla sua intuizione. Accorsi in realtà aveva il pallino della Lega Nord, gli sembrava che il punto di svolta fosse lì, non si capacitava come autentici bru-bru scesi con la piena potessero guadagnarsi un posto al sole della politica italiana. Il nostro, che pure era nato tra ghiaccioli e maxibon, da sinistra considerava uno sfregio nel tabernacolo della politica quel manipolo di padani planati su Roma ladrona. E per questo voleva imporne la pochezza culturale in una serie televisiva. Non è un caso, infatti, che tutto il mondo leghista che compone «1992» e «1993» è molto più che macchiettistico, nessuna traccia, neppure pallida, delle intuizioni politiche, nessuna voglia di indagare appena il fenomeno, solo una serie di luoghi comuni che quel povero Caprino cerca di mettere in fila quando non si accoppia con qualche pupa (memorabile per povertà culturale e luogocomunismo l’ultimo accoppiamento con la giornalista borghesuccia di sinistra). Insomma, gente di cui grandemente vergognarsi.

Detto allora che nelle intenzioni di Accorsi la serie Sky doveva essere altro, è bene anche sapere che il prodotto «1993» è comunque quanto di più sconfortante si potesse immaginare (un anno fa si disse di «1992» e non tanto meglio). Intanto la scontatezza, unita a un certo avventurismo cinematografico. L’uscita di Craxi dal Raphael sotto le monetine è talmente ghiotta ed evocativa che non si può che iniziare da lì? Ok ragazzi, ma almeno guardiamoci negli occhi. Che cosa in tutta la storia del cinema (che è corposa eh) non è mai riuscita? La manifestazione di protesta, con urla e cartelli. La vedrete sempre miserella, e quand’anche corposa perché la produzione ha speso, priva di quell’anima profonda che la generò. Qui siamo esattamente da quelle parti, si poteva giocare sui particolari, magari l’intuizione della casualità, perché la gente accorse al Raphael praticamente per caso, da un’altra manifestazione. Per chiudere il capitolo Craxi, chi è il buontempone che ha deciso durante una delle mille riunioni di sceneggiatura di mettere un cartello, uno solo, così ad minchiam, tra le braccia di un urlatore con su scritto «Vergogna»?

Si dice, tra le buone critiche di queste ore, che le due prime puntate di «1993» sono serrate, hanno ritmo. Può bastare il ritmo, per nascondere l’assenza di un filo rosso, di un punto centrale? La difficoltà, immaginiamo la più corposa e profonda, era star fuori dalla realtà, seppur raccontandola. Prima delle immagini, se avete notato, scorre una lunga scritta in cui sì per precauzione legale, ma soprattutto come tema vero di un lavoro complesso, si dice che tutto è comunque fantasia, anche se ovviamente riconducibile a fatti realmente accaduti. Ecco il punto centrale, che gli autori non si nascondono. Immaginiamo sia un libro: quale immane difficoltà nell’uscire da corpi veri, carne e sangue riconoscibili per tutti noi, per entrare nelle storie inventate di altre persone che esistono solo nella fantasia dell’autore. Un’impresa ai limiti dell’impossibile. E così televisivamente. Per cui, nonostante i ripetuti accoppiamenti carnali quotino nella vulgata dominante sempre larghi apprezzamenti, qui non si vede l’ora che finiscano per ritrovare l’inarrivabile Cav. di Pierobon e il guascone Di Pietro di Max Gallo. In sostanza, ciò che siamo stati. Ecco, non avere avuto l’impudenza di raccontare ciò che siamo stati per andare in un altrove, poteva essere il colpo da fuoriclasse degli autori e invece è diventato il difetto maggiore di questa serie senza entusiasmo. Segno che in cabina di regia fuoriclasse non v’erano. Come accade spesso, peraltro. Ma se ti metti davanti a Billions, tanto per dirne una, dove si combattono il (presuntissimo) Bene e un acclarato Male, dopo non hai più bisogno di nulla, neanche della tisana per andare a letto.

Ps. Tante altre piccole cose sono già esaminate nel pezzo «1992», inutile ripeterle qui.

 

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