Media
L’ineluttabile tracollo dei giornali
Molti consumatori di notizie e frequentatori del web si sono accorti da tempo della scarsa incidenza della stampa sulla formazione dell’opinione pubblica e della sterilità degli editorialisti. Il vertiginoso calo delle vendite dei giornali non è dovuto, evidentemente, solo alla crisi economica o alla scarsa attitudine a leggere e ad informarsi degli italiani. A rendere infruttuosa quasi tutta la stampa è un’insana attività editoriale che non rispecchia per niente i gusti e le esigenze di una notevole parte della popolazione, cresciuta enormemente dal punto di vista culturale e dell’autostima.
Tranne che ai tromboni disarmonici da prima pagina, è noto a tutti come l’informazione, perseverando nel suo triste ruolo acritico, che si manifesta soprattutto nella pesantezza stilistica e nella morbosità dei giudizi moralistici, abbia finito per stancare e affliggere il lettore, riservandogli una lettura da consumare come una sorta di penitenza. Pare abbastanza evidente come una componente massiccia del giornalismo abbia contribuito, anche se con un demerito minore rispetto alla politica, ad abbassare, miserabilmente, il livello generale della comunicazione, comportando scompensi nel campo dell’informazione. Basta rileggere un’edizione qualsiasi dei principali quotidiani nazionali di qualche anno fa per accorgersi dei colossali abbagli dei suoi fini pensatori: bisognava essere dei creduloni per attendersi davvero una rivoluzione liberale tanto annunciata, ma mai iniziata e men che meno progettata, o vedere nel destino in continuo divenire del PD le stigmate di un partito moderno trans-europeo.
Diversamente da un tempo ormai lontano, oggi, si ha la sensazione che tanta gente non dia più tanta importanza alle dichiarazioni vuote e banali dei leader politici e non sia più disposta a ingerire un’informazione non rappresentativa di alcun sentimento comune: ci vorrebbe una capacità di sopportazione olimpionica per continuare ad assimilare l’indicibile produzione di intelligenze disturbate e di osservatori smisuratamente sopravvalutati, che rappresentano, rispettivamente, la classe dirigente e la classe intellettuale del paese. Da più parti si chiede di rimuovere, come per i cialtroni della politica, e con la stessa indolenza, anche i responsabili di una critica posticcia, senza sangue, priva di qualsiasi energia emotiva e cerebrale. Naturalmente, un sistema che nutre e privilegia se stesso è duro a morire. Ecco perché una morale espressa in virtù di una nuova cultura e di un costume ritrovato farebbe paura a chi, grazie allo status quo, e indipendentemente dalla posizione assunta rispetto ad esso, gode di una posizione di privilegio.
Agli scaltri fautori di una simile gozzoviglia e ai suoi ancora più dritti critici non preme che si dia luogo a rivoluzioni ideologiche che potrebbero cambiare gli attuali rapporti di forza. Naturale, quindi, che i politicanti di palazzo, addestrati a gestire gli umori di piazza, e i parolai dal pensiero smussato, dediti a un opinionismo di conservazione, facciano della politica e del giornalismo due attività ferme, riluttanti verso qualsiasi forma di slancio, chiuse a ogni esigenza delle varie categorie sociali. Resta la rete, con il suo giornalismo on line, talvolta pertinente e compostamente irriverente, a dare contro-indicazioni per non cadere nella trappola dei furbi di ogni tempo, di quelli che hanno un ossessivo timore di essere delegittimati, poiché, ad eccezion fatta, la loro produzione quando non è il derivato di un lavoro accomodante, è la conseguenza di un pensiero scadente.
Sarebbe ora di smetterla con i sermoni inutili della stragrande maggioranza degli editorialisti, che, se pure tendono agli ismi più esclusivi danno unicamente conto della pregiata stoffa che benda i loro occhi di fronte alla tangibile limitatezza e alla sconsideratezza insopportabile di un’intera classe dirigente. Ci si chiede come abbiano fatto, per tanti anni, lorsignori, persone di una certa levatura, a predicare di abituarsi al peggio, abilmente presentato come una sorta di male minore da cui trarre finanche qualche motivo di compiacimento.
E come possono, sensibilità come le loro, oggi, non avere sentore della volgarità di un sistema politico che mira a separare quanto più è possibile il concetto di “governo” e di “Stato” da quello di “popolo”, privando quest’ultimo della sua aspirazione a un’esistenza meno problematica? Facciano un’opportuna autocritica e rispondano alla propria coscienza: era davvero impensabile e fuori dalla portata della loro formazione scientifica stigmatizzare, per tempo, i comportamenti degli uomini di potere che hanno reso questa repubblica tra le più grottesche del pianeta? Domande retoriche, ovviamente, il cui uso è consono e abituale al loro atteggiamento, per averne poste, e neanche con eleganza, un’infinità sulle pagine piatte e stucchevoli su cui imprimono un rullante e sempre uguale bla bla bla.
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