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L’estinzione dei giornali di carta
Io me lo ricordo quel tempo in cui si compravano i giornali, e misuravi l’engagement di una notizia anche dall’odore della carta. Negli anni Novanta, la carta stampata de La Gazzetta dello Sport possedeva l’odore più bello di tutti, anche se la stampa macchiava le mani di nero, come quella del Corriere della Sera, che quando era fresco di stampa ti imbrattava le dita, e se te le passavi sul viso sembravi quasi uno di quegli indiani d’America che si dipingono il volto per decorarsi. In treno toccava comprare La Repubblica, che ti lasciava senza macchie, perché i bagni di Trenitalia – diciamoci la verità – non son mica così confortevoli per andare a lavarsi le mani, ed è già tanto se riescono a funzionare; e così, per una tratta lunga di almeno un’ora, non potevi permetterti le mani imbrattate di stampa, avresti finito sicuramente per passarti una mano sulla guancia e far la figura dell’idiota in treno (magari proprio mentre avevi adocchiato qualcuno). I giornali abbandonati da lettori ubriachi di lettere sui treni li trovavi sempre, a ogni vagone pullulavano, e imparavi anche a riconoscere le persone che li avevano abbandonati. Il Giornale era sicuramente di un signore di mezza età medio borghese, che nella borsa portava anche Libero occasionalmente: uno lo lasciava sul sedile del treno, e l’altro se lo portava appresso per andare al bagno in qualche momento morto della giornata. La Repubblica la incontravi sotto il braccio di chiunque: gli studenti, le signore che la alternavano con l’inserto, i signori di mezza età medio borghesi che erano animati da altri sogni, e tutti gli hipster che si dondolavano su un’editoriale di Scalfari sogghignando alle sue battute. Per un attimo ci fu uno strano spostamento verso Il Fatto Quotidiano, gli hipster più estremisti, i nerd della letteratura del giornalismo allineato contro e saccente, si spostavano magicamente dalla Repubblica a Il Fatto. Ma era già tardi, era già l’epoca dei giornali online.
A quei tempi si comprava tutto il pacchetto, l’intero giornale con tutte le notizie, gli approfondimenti e le inchieste: il massimo del marketing della notizia con cui si era disposti a scendere a compromessi era la prima pagina. ‘’Che bella prima pagina ha oggi il Corriere della Sera, quasi quasi oggi compro questo qui’’. Oppure c’erano i grandi eventi e le prime pagine imperdibili, da conservare: l’11 Settembre, l’Italia che vince la Coppa del Mondo, tua nonna che ammazza il vicino. I gattini li incontravi solo nella vita reale, una mia amica ne aveva sempre tantissimi in giardino, e ogni volta che andavo a trovarla mi si buttavano addosso. Lei mi mostrava come fosse buffo quando muovevano la coda implorando qualcosa da mangiare, e io li guardavo. Tutto qui. Una volta un suo gattino scappò di casa, non riusciva a trovarlo da almeno due giorni, e il caso volle che fosse finito a casa di un altro nostro amico, che intanto lo aveva adottato e ribattezzato Patroclo: litigarono un’intera settimana per contendersi il gatto. Ho la sensazione che oggi questa potrebbe essere un’ottima storia, e una notizia da 10k likes.
Cos’è successo ai lettori nell’era post-carta, si dice, possibile si siano rimbambiti tutti?, si aggiunge. Beh, non è successo proprio un bel niente, è che col web sono entrati in gioco a danzare (e orientare il mercato) anche quelli che prima non leggevano: o meglio, ogni contenuto combatte una battaglia quotidiana con tutti gli altri, e le parole – soltanto le parole – perdono. Come si fa a scrollarsi di dosso l’ansia da prestazione che questo nuovo corso della storia pretende da tutti noi? Ormai siamo troppo avanti per tornare indietro alla carta, e probabilmente non esiste una soluzione affinata. Ogni volta che mi ritrovo a leggere un’analisi sulla futura possibilità di riuscire a trovare un modello sostenibile per il giornalismo online mi sembra di trovarmi di fronte a un manuale del tipo ‘‘Conquista 10.000 followers in un mese”, portatori sani di consigli del genere: crea engagement, sii smart, coinvolgi il tuo pubblico, sii interessante, indossa un paio di occhiali da sole per creare sintomatico mistero per i tuoi followers.
Tuttavia non è colpa di internet. Almeno quanto non è colpevole il fatto che alle persone il cinema piaccia più della letteratura. Forse, per vincere la battaglia della parola scritta su quella del titolo fatto bene, del contenuto multimediale, della presentazione sui social, e della fotografia attizza-sguardo, basterebbe una piccola cosa: riconquistare il ”pubblico” dei lettori con le parole. C’è ancora qualcuno che ha fame di parole scritte bene qui fuori, non ci possiamo mica mandare tutti a leggere il New York Times su google translate (che come incubo equivale a dire ”a quel paese”).
Foto di copertina: Yanidel Street Photography, Hong Kong
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