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Le fake news per combattere le fake news. L’esperimento di un’edicola newyorkese

9 Novembre 2018

Le elezioni statunitensi di midterm si sono appena concluse. Come da prassi consolidata: verdetti, analisi, controanalisi, profezie e maratone mediatiche a profusione. Ma non solo. Dai meandri della campagna elettorale percorsa a ritroso ecco affiorare, di passaggio, un’interessante iniziativa della Columbia Journalism Review rimasta in sordina dalle nostre parti e meritevole di un focus: un’edicola temporanea, nel cuore di New York, dedicata esclusivamente alla disinformazione, con tanto di periodici inventati, titoloni farlocchi e notizie immaginarie di lungo corso care a quel segmento di opinione pubblica americana immune allo scetticismo o affetta da scetticismo selettivo.
“Un approccio non convenzionale”, suggerisce l’editore del magazine Kyle Pope, intrapreso allo scopo di sensibilizzare i lettori sul tema delle fake news rendendole riconoscibili, tangibili, in carta e ossa, sottraendole all’incontrollabile mercato del complottismo social, pane quotidiano per gli speculatori della post-verità.

Un progetto provocatorio realizzato, non a caso, a ridosso delle elezioni, nel picco della parabola propagandistica. In quel tempo di mezzo della politica in cui lo storytelling di comodo del marketing elettorale prevale volentieri su dati, statistiche, memoria collettiva, intelligenza, provvedimenti discutibili e contraddizioni. In cui una certa percezione della realtà dalla vocazione maggioritaria, avvezza alle semplificazioni e a un’impulsività rudimentale, diventa terreno fertile per i procacciatori di consenso. In cui la dialettica partitica contemporanea tende a esibire la sua riformata natura di acceso confronto tra scuole di emotività, e non tra scuole di pensiero, ribadendo il primato della comunicazione posticcia sull’età adulta della vita democratica.

Insomma, considerando lo scenario emergenziale, una risposta urgente, nonché creativa, da parte del mondo dell’informazione – declassato da quarto potere a poterucolo dagli ossessivi della lotta all’establishment – non poteva farsi attendere ulteriormente. Quindi, cerchiamo di comprendere nel migliore dei modi il brillante esperimento della Columbia Journalism Review.

In primis, il supporto materico, la sua resistenza tattile, la sua concreta sfogliabilità cartacea, possono costituire un efficace insieme di ingredienti in grado di tradurre il falso sul piano del reale, dandogli consistenza, risalto: e si sa, tradurre è tradire. Secondariamente, il raggruppare uno sciame di fake news in un unico contenitore “ufficiale” può indurre, per paradosso, il raggiungimento della soglia critica della credibilità. In altre parole, forse più icastiche: troppe stronzate tutte in una volta si rivelano facilmente per quello che sono. In altre parole, forse più tecniche: la prescrizione del sintomo come strategia terapeutica d’impatto; prescrivere il falso come vero fino all’esasperazione affinché, a causa di un cortocircuito cognitivo, di un insight, venga riconosciuto in quanto falso. In terzo luogo, l’inserimento in appendice, all’interno di questo pianificato tripudio di fuffa, di alcune indicazioni su come identificare le notizie infondate e su come difendersi dalle stesse.

Ebbene, qualche dubbioso smaliziato potrebbe evidenziare l’utilità marginale di una simile iniziativa in virtù del suo essere circoscritta sotto il profilo spazio-temporale, oppure potrebbe rilevare tracce di sconfinamento, di fuoriuscita spavalda da quella creatura mitologica chiamata “informazione pura” o, ancor peggio, potrebbe parlare di operazione pubblicitaria o di spettacolo consolatorio, di sterile espediente per dare una bella ripulita alla coscienza collettiva, già pronta, per deformazione ormai plurigenerazionale, a buttarsi alla svelta su qualcos’altro e dimenticarsene. Dubbi legittimi, per carità.
Tuttavia, è innegabile che le fake news, sottratte all’inafferrabilità della loro esistenza virtuale, solidificate e prescritte per essere disinnescate, assumono contorni meno inquietanti. Così com’è innegabile che quando una presa di coscienza sulla realtà si traduce in una pratica di coscienza ogni sospetto di mero igienismo coscienziale dovrebbe dileguarsi.

Tagliando corto, qualcosa inizia a muoversi.

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