Media
L’avanspettacolo della guerra
Ogni volta che mi sono imbattuto nel giornalismo televisivo di Massimo Giletti, ho sempre pensato che fosse impegnato in una gara della insipidezza dove, nell’esaltazione di se stesso, offre spunti per congetture pesantissime sulla maniera dozzinale, posticcia e inelegante di assurgere al compito di operatore dell’informazione. Non c’è che dire: in questo genere di giornalismo è un campione autentico! Uno dei migliori, se non addirittura l’inarrivabile fuoriclasse della cronaca in versione fiction. In men che non si dica, il nostro valoroso conduttore riesce a banalizzare qualsiasi argomento, finanche quello inerente a un conflitto increscioso e preoccupante come l’accanita disputa belligerante in Ucraina, che richiederebbe compostezza, conoscenza e una conveniente intelligenza, non fosse altro per rispetto di chi una guerra la vive per davvero e la subisce, ne conta i morti, ne prova il disagio e il dolore. Il tentativo di farne uno spettacolo per voyeur, assetati di sangue e orrore, o, nel migliore dei casi, per telespettatori sprovveduti e inclini al patetico racconto della sofferenza, è una devianza abnorme e insopportabile di un giornalismo osceno e squalificante che non può e non deve passare indenne dall’analisi dell’osservatorio critico dei media. Recarsi a Odessa per montare un triste spettacolo, lasciando spazio alla morbosità più nefasta, nella pretesa evidente e sfacciata di apparire un coraggioso e pertinente inviato di guerra, è quanto di più sciocco e insano possa fare un anchorman.
Va da sé che vi sono maniere diverse di raccontare la tragedia della guerra, i suoi caduti, i feriti e lo sconcerto complessivo che ne deriva. Quello scelto da un eroe di cartapesta della televisione, come il cronista gentiluomo in argomento, non è altro che il modo più subdolo e indecente per catturare l’attenzione di un pubblico che si traduce in ascolti, percentuali e dati auditel. Davvero un figuro che si aggira per le macerie e i morti come uno sciacallo può essere premiato, o solamente degno dell’attenzione di una platea, anche minima? La spettacolarizzazione della tragedia diventa sempre qualcosa di abominevole, al di là di quanta gente una simile operazione riesca a tenere incollata al video. Non esiste profitto più ripugnante di quello ottenuto speculando sul dramma infinito dei conflitti e delle miserie del mondo. E, se alle vittime delle guerre aggiungiamo quelle della fame e degli stenti, abbiamo un quadro che necessiterebbe urgentemente di una narrazione responsabile, leale, coscienziosa, che mai potrebbe essere affidata all’esemplare inadeguatezza del paladino di un programma indigesto e inguardabile come “Non è l’arena”, che naturalmente ha il suo bravo e impressionabile pubblico.
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