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La Rai e la par condicio mafiosa. Un servizio per il pubblico, non più pubblico

6 Aprile 2016

Ciò che più sconvolge della grottesca presenza del figlio di Totò Riina alla trasmissione Porta a Porta, non è semplicemente la gravità del fatto in sé, ovvero uno spazio pubblico di ribalta concesso al figlio di uno dei più grandi criminali della storia del paese per parlare del “lato umano” del padre raccontato – oltretutto – nel suo libro in uscita, ma il modo con cui la Rai ha pensato di “mettere una pezza” per sedare le sacrosante polemiche che sono seguite all’annuncio.

Nel comunicato con cui l’azienda difende la scelta di mandare in onda l’intervista, per offrire al suo pubblico “un punto di vista sconcertante ma che si è ritenuto di portare a conoscenza dell’opinione pubblica perché sintomatico di una mentalità da ‘famiglia mafiosa’ che è compito della cronaca registrare”, si annuncia anche una sorta di “par condicio” mafiosa per riequilibrare le posizioni, come si fa con i partiti politici: “per offrire un ulteriore punto di vista contrapposto a quello offerto dal figlio di Riina – recita testualmente la nota – Porta a Porta ospiterà inoltre domani sera una puntata dedicata alla lotta contro la criminalità e a chi alle battaglie contro le mafie ha dedicato la propria esistenza anche a costo della vita. Tra gli altri saranno ospiti il ministro dell’Interno Angelino Alfano e il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. Insomma, oggi parla la mafia e domani l’antimafia (…), così non facciamo torto a nessuno.

Il modo con cui da sempre Bruno Vespa insegue bulimicamente gli ascolti lo conosciamo bene. Dai suoi celebri plastici al “contratto con gli italiani” (che fece firmare a un noto showman), fino alla recente intervista con autorevoli esponenti della famiglia Casamonica. Ma ammesso che il “giornalista” debba restare al suo posto a vita per volontà divina, superando indenne tutte le stagioni e le “repubbliche”, la tv pubblica dovrebbe contenere le sue esuberanze, specie quando superano abbondantemente il limite della decenza come in questo caso.

Giovanni Falcone definì la mafia “un fenomeno umano” e aveva ragione. È probabilmente uno dei peggiori che l’uomo consegna alla sua storia. E in quel fenomeno non c’è solo un’organizzazione criminale, ma una mentalità tristemente diffusa. Combatterlo vuol dire rappresentarlo per ciò che è: un criminale mafioso è un criminale mafioso, che sia anche un padre di famiglia è un particolare futile. Questo è quello che un servizio pubblico dovrebbe insegnare al suo pubblico, non inseguire la sua morbosa curiosità.

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