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La lezione dagli Usa: ormai è impossibile credere ai sondaggi

20 Novembre 2020

È stata tutto sommato una fortuna, per gli istituti demoscopici statunitensi, questa storia del voto anticipato per posta. Il ritardo e la lentezza con cui sono stati spogliati i voti postali, e l’incertezza dei primi giorni sul vincitore e sul distacco tra i due principali contendenti, hanno permesso di “nascondere” stime e previsioni di voto non particolarmente brillanti.

Ancor oggi, dopo più di due settimane dalla chiusura delle urne, non è dato sapere quali sia il reale margine di distacco tra l’ormai sicuro vincitore Biden e Trump, sia nei diversi Stati sia a livello nazionale. Nel voto popolare sembra delinearsi una vittoria per il candidato Democratico di circa 4 punti percentuali, o forse qualcosa in più (chi lo può sapere!), mentre diversi sono ancora gli Stati impegnati nella chiusura degli scrutini: nello Stato di New York, ad esempio, siamo ancor’oggi 20 novembre (17 giorni dopo il voto) fermi al 78% della copertura. Peggio di quanto accade da noi in qualche regione meridionale, verrebbe da dire. Ma tant’è.

Resta il fatto (fino a prova contraria, nel benedetto momento in cui lo spoglio sarà finalmente terminato) che, se prendiamo per buono questo distacco, ci accorgiamo che le previsioni dei sondaggi fino all’immediata vigilia erano certamente piuttosto imprecise. Ci parlavano di un margine a favore di Biden di circa il 10%, il giorno prima delle consultazioni, come testimonia la memoria storica ad esempio del sito della Cnn, che saliva fino a 15 punti nei mesi precedenti.

È vero che il voto popolare c’entra poco con l’elezione del Presidente, dato che come si sa il risultato dipende dai grandi elettori dei diversi Stati, ma questo è un indicatore abbastanza significativo anche dell’andamento delle competizioni territoriali. Come si evince da ciò che accade da più di 40 anni, i Democratici devono avere un vantaggio di almeno 4-5 punti per poter risultare vincitori anche a livello dei grandi elettori, a causa della loro maggiore presenza negli Stati più popolosi come California e New York State.

Dieci punti sono peraltro un margine che permetterebbe di stravincere nettamente anche a livello dei grandi elettori: Bill Clinton nel 1996 vinse ad esempio di oltre 9 punti nel voto popolare contro Dole e conquistò la bellezza del 70% dei grandi elettori, più o meno come Obama nel 2008.

Ma anche nei sondaggi dei singoli Stati le previsioni non sono state particolarmente attendibili: Florida, North Carolina, Georgia e anche in parte Texas avevano ad esempio come vincitore annunciato Joe Biden, talora con un distacco che pareva incolmabile, poi superato nei voti reali. E anche nei territori Democratici le stime erano di un landslide a loro favore, come in Winsconsin, Pennsylvania o Michigan, quando poi la differenza scaturita dalle urne (e dalla posta) si è rivelata di pochissimi punti percentuali.

Insomma i sondaggi, per i motivi che ho spesso sottolineato (campioni distorti, menzogne dovute alla desiderabilità sociale, incognite sulla reale partecipazione al voto) si sono rivelati anche in questa occasione piuttosto lacunosi. Ciò che stavolta ha salvato gli istituti demoscopici da manifeste riprovazioni è stato il procrastinarsi degli scrutini, che ha reso impossibile un immediato confronto tra previsioni e risultati veri. Per evitare brutte figure anche nel nostro paese, si potrebbe “copiare” il metodo americano, introducendo il voto postale, con spogli delle schede che durerebbero diverse settimane…

Università degli Studi di Milano

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