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La forza gentile
“Gentilezza insieme a coraggio significa prendersi la responsabilità delle proprie azioni e del proprio essere nel mondo, accettare la responsabilità di essere umani”.
Gianrico Carofiglio
Più che semplicità oggi occorre gentilezza. Non scritture facili o pose garbate e nemmeno carezze. Parlo di quella caparbia fermezza che facilita le buone decisioni nel periodo di coprifuoco della coscienza. Senza nessun turgore delle giugulari, nessun chiasso, nessun lirismo dopante.
Il momento richiede questo: varechina sulla maleducazione.
Anche la scrittura votata al giornalismo o, più semplicemente, alla comunicazione pubblica richiede un sentimento intenzionalmente corretto.
La sua forza è nella gentilezza.
Uno scritto – un qualsiasi scritto – è un gesto preciso, formulato in un tempo e con un animo particolare, e in rete rimane per sempre (per sempre, vi rendere conto?).
Se la scrittura rimane, l’intenzione peggio. Ecco perché occorrono come manna dal cielo pensieri tattili, grafie prensili.
Esagero.
Sono invaghito dalla cortesia e sono stanco del muscolo retorico, della eccitazione fine a sé stessa, della burocrazia liturgica che diventa il sudario delle relazioni pubbliche.
Meglio testi sdentati a glosse permalose.
Un’età, quella della glossa, che non è utile al difficile lavoro che resta da fare. Un’età che richiede tanta preparazione e capacità di ascolto, un’età che abbia premura delle verità nelle relazioni.
Un’età dell’anima che non sia incerta.
“L’età dell’anima è diversa da quella registrata all’anagrafe. Credo che l’anima abbia una determinata età fin dalla nascita, e che questa età non cambi più”.
Così Etty Hillesum, scrittrice olandese dissipata ad Auschwitz, il 30 novembre 1943 dall’orrore archetipico nazista del Novecento.
Nel suo diario c’è un passaggio talmente gentile che ha una forza enorme, un incanto senza eguali. Leggete:
“La mia rosa tea sta appassendo tra la macchina da scrivere, un fazzoletto e un rocchetto di filo nero. È quasi insostenibilmente bella e tenera. Appassendo gentilmente, e con rassegnazione, si prepara ad abbandonare questa breve, fredda vita. È così tenera e amabile, e ha una tale grazia nella sua lenta morte che potrebbe facilmente spezzarmi il cuore. Ma bisogna lasciar morire in pace anche una rosa tea e non cercare fervidamente e disperatamente di trattenerla. In passato riuscivo a essere inconsolabile e inspiegabilmente triste per un fiore che appassiva. Ma bisogna imparare ad accettare anche l’appassire della natura, senza opporvi resistenza”.*
Ora, siate gentili, forzate la mano.
*E. Hillesum, Diario, Edizione integrale, trad. it. di C. Passanti, T. Montone e A. Vigliani, Adelphi, Milano 2012, p. 169.
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