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“Il Covid? È nato in Lombardia”. Viaggio nelle fake news cinesi sul virus

9 Maggio 2020

L’epidemia del coronavirus si è subito annunciata come uno degli eventi che compariranno sui libri di storia per la magnitudo delle conseguenze che provocherà, a cominciare dalle innumerevoli morti causate dal virus, fino alla prossima recessione dell’economia mondiale, data ormai per scontata.

Ma la storia del Covid 19 sembra anche fatalmente intrecciata con un’altra epidemia: quella delle Fake News, che ormai fatichiamo a distinguere dalle Notizie Vere, vista l’iperproduzione informativa, le cui fonti sono ormai totalmente incontrollate.

In questi mesi, infatti, abbiamo assistito al mostruoso moltiplicarsi di notizie sul coronavirus che sembrano Vere, ovvero documentabili e magari suffragate dal parere di noti scienziati, ma che invece sono probabilmente False.

Vale per tutti l’esempio delle accuse del vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pompeo alla Cina,  che avrebbe lasciato “scappare” dall’Istituto di virologia di Whuan un virus man-made, costruito dagli scienziati cinesi per scopi ancora tutti da identificare.

La Fake – or True? – News era già stata presentata dalla stampa legata all’Estrema Destra americana, tra cui un documentario prodotto da Epoch Times, “The first documentary movie on CCP virus, Tracking Down the Origin of the Wuhan Coronavirus“, in cui la tesi del virus sfuggito al laboratorio era argomentata con discreta perizia, ma senza che con ciò si potesse dire di essere di fronte alle prove inequivocabili della fuga del virus dall’istituto di Virologia di Wuhan.

Nel documentario, viene infatti esposto un lungo elenco di documentate supposizioni, ma senza nessuna prova, anche perchè la Cina non ha permesso ad altri paesi di visitare il laboratorio incriminato. La scena del delitto, insomma, non è mai stata visitata da nessuno degli accusatori dell’Istituto di Virologia.

 

 

LA “FUGA” DEL VIRUS

La tesi della “fuga” accidentale del virus dai laboratori Whuan ha però portato una ventata complottista in tutti i paesi del mondo.

Il sospetto che l’epidemia di coronavirus sia stata nascosta dalla Cina fino a quando è riuscita a farlo (sospetto che ormai pare assolutamente vero), oltre alla totale mancanza di una volontà di collaborazione con gli altri paesi coinvolti dall’epidemia, ha dato l’avvio al fiorire spontaneo di teorie sull’esistenza di complotti in atto – gombloddi nella versione satirica dell’espressione che circola in Rete – orditi dai cinesi che non ci vogliono raccontare la verità.

Nel laboratorio di Whuan, come sostiene Epoch Times, si stava progettando un nuovo virus particolarmente aggressivo, che la Cina avrebbe usato in una futura guerra batteriologica contro l’Occidente. Il giornalista protagonista del documentario ci mette in guardia: “Non fidatevi del Partito Comunista Cinese, perchè sta complottando contro noi occidentali ed è pronto ad attaccarci!”.

Il sospetto che sotto le trame visibili della storia si nascondano gombloddi sconosciuti ai comuni cittadini si è ormai insinuato nelle menti di milioni di individui. Se quindi il Guardian si chiedeva nel 2016 se non stessimo entrando nella Golden Age del cospirazionismo, oggi potremmo rispondere di sì: siamo tutti diventati un po’ paranoici.

Ormai, di fronte a qualsiasi notizia che non sia il computo dei numeri di morti per il coronavirus, ci chiediamo: questa notizia sarà vera o sarà falsa?

E se fosse falsa, perché ce la stanno raccontando?

Non ci sarà mica sotto un gombloddo?

Noi occidentali siamo abituati a pensare che le Fake News siano un problema che riguarda soprattutto noi occidentali.

Sappiamo che sono in genere prodotte da fonti oscure, come i mestatori di Cambridge Analytica, che usano account di persone che non esistono, e che poi vengono fatte circolare sui social network, principalmente Facebook e Twitter.

Ma le ultime teorie sul gombloddo cinese arrivano addirittura da Donald Trump e il suo vice Mike Pompeo.

Che fanno, raccontano balle anche loro?

Forse sì, come poterlo escludere, visto che Trump è stato eletto grazie ai buoni consigli di Steve Bannon, fondatore di Cambridge Analytica. Bannon ha aiutato Trump a vincere le elezioni americane nel 2016, diffondendo tra l’altro la Fake News che Hillary Clinton aveva dei seri problemi di salute.

Guardate il documentario di Netflix, The Great Hack, se non ci credete. La campagna elettorale del 2016 di Trump è stata condita dalle bugie, tra cui quella relativa al fatto che Obama non fosse nato in America.

Ormai l’America è entrata nell’epoca della post-verità, in cui notizie manifestamente false sono in grado di influenzare l’opinione pubblica.

E in Cina cosa succede? Sono gombloddisti anche i cinesi?

Certo che sì.

I leader del Partito Comunista Cinese stanno proclamando ai quattro venti di essere vittime di un gombloddo degli americani, che avrebbero portato a Wuhan il coronavirus direttamente dall’America, per poi incolpare la Cina di aver trascinato il mondo nella pandemia.

In Cina allora ci sono le Fake News?

Certo, a tonnellate. Lo scorso marzo, anche l’Italia è stata accusata dai cinesi di essere stata la culla del coronavirus.

Fake News prodotte da chi?

Direttamente dal Partito Comunista, verrebbe da dire…

 

 

IL COVID “IMPORTATO” IN CINA
Non vi sono più dubbi: c’è una grande confusione sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente, per parafrasare un’espressione del presidente Mao.

Sembra esserne convinta anche la portavoce del Ministro degli Esteri Cinesi, Hua Chunying, che il 7 maggio 2020 dichiara durante uno dei briefing governativi: “Siamo di fronte a una guerra. Non si tratta solo di una guerra tra l’umanità e il virus, ma anche di una guerra tra la verità e le bugie”.

Come darle torto, visto che una delle Fake News messe in pista da governanti e media cinesi è proprio quella secondo cui il coronavirus sarebbe nato in Italia, forse a Codogno, perchè no, per poi essere esportato successivamente (e misteriosamente) in Cina?

Ma andiamo con ordine. Il buco nero informativo da cui originano la maggior parte delle Fake News cinesi riguardano soprattutto la questione delle origini del virus.

Dov’è nato il virus? In Cina la risposta iniziale è un po’ in sordina, ma subito molto chiara: non è possibile dimostrare che il virus sia nato in Cina.

Il 27 febbraio 2020, Zhong Nanshan, il capo del team governativo anti-Covid, lo dichiara: “Il virus non è “probabilmente” nato in Cina”.

Certo, in Cina ci sono stati moltissimi casi di Covid, dice Zhong, ma il virus potrebbe essere stato importato da un paese straniero.

Poco importa che anche l’epidemia di SARS del 2002- 2004 fosse nata in Cina, probabilmente in un mercato dove vengono venduti animali selvatici portatori del virus che hanno successivamente infettato l’uomo.

Poco importa che anche la nuova epidemia di SARS (il nome ufficiale è SARS – Covid 2019) sembri originare dal mercato di Whuan, dove erano venduti gli animali selvatici portatori del coroavirus. E nulla importa il fatto che i primi a scansionare il virus e inviare il genoma ai medici occidentali siano stati proprio dei medici cinesi.

Nulla conta, infine, il fatto che il primo focolaio mondiale sia stato a Whuan.

Il 4 marzo, il portavoce del Ministro degli Esteri, Zhao Lijian. la mette giù più dura. In un intervento ripreso su Youtube: “Calling COVID-19 “China Virus” is Irresponsible and We Oppose Stigmatization of China”, Zhao sostiene apertamente la tesi secondo cui non è vero che il virus è nato in Cina.

Perché? Perché non si può dimostrare. Non ci sono prove: chi lo afferma vuole solo stigmatizzare la Cina.

Il portavoce del Ministro degli Esteri questa volta lo dice apertamente: la teoria degli occidentali secondo cui il coronavirus sarebbe nato in Cina è sostanzialmente un gombloddo contro la Cina.

Gombloddo ordito da chi?

Zhao ancora non si sbilancia. Non fa accuse specifiche. Quando siamo di fronte a un gombloddo, si sa che il burattinaio che manovra i fili sta sempre nascosto.

 

 

IL VIRUS ITALIANO
La prima accusa all’Italia arriva da Twitter, il 22 marzo 2020, accompagnata dalla foto di una Roma soleggiata: “In Italia ci sono stati casi di Covid già nel novembre /dicembre 2019“.

Lo sostengono i reporter di Global Times, il giornale di lingua inglese prodotto dal quotidiano ufficiale del Partito Comunista Cinese, il Quotidiano del Popolo.

Ma che prove ci sono di una simile affermazione buttata lì su Twitter?

Nessuna.

Il tweet si conclude infatti con: “Reports said”, ovvero: “Lo dicono i giornalisti”.

Come fonte della notizia secondo la quale il coronavirus sarebbe cominciato in Italia vengono quindi additati dei non meglio specificati giornalisti che lavorano (probabilmente) per il giornale in questione. Un bell’inizio, insomma, per farci capire come funziona il giornalismo di inchiesta alla cinese.

Ma il colpo di grazia all’Italia arriva lo stesso giorno, sempre il 22 marzo, quando la televisione CGTN (la televisione di stato cinese) riprende le dichiarazioni (vere) del Professor Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerca Mario Negri, che dichiara di aver notato un’impennata di polmoniti virali in Lombardia prima ancora dello scoppio dell’epidemia a Wuhan.

La reporter mostra una foto del professor Remuzzi, mentre ripete le sue dichiarazioni, estrapolate da una dichiarazione fatta da Remuzzi in quei giorni.

Il professore voleva solo dire che: “Il virus forse circolava, almeno in Lombardia, e prima che fossimo a conoscenza della crisi in Cina”.

Remuzzi si stava cioè chiedendo se la circolazione del virus in Europa non fosse cominciata prima della data ufficiale di inizio dell’epidemia definita dalla Cina, datata più o meno nel gennaio 2020. I dubbi di Remuzzi sono stati poi ripresi da moltissimi, perchè ormai circola apertamente il sospetto che l’epidemia sia cominciata (in Cina) molto prima di quanto non sia stato dichiarato, e che quindi sia stata esportata nei paesi occidentali prima di quel fatidico 21 febbraio, in cui è stato diagnosticato il primo paziente italiano ammalato di Covid.

Ma le dichiarazioni di Remuzzi vengono estrapolate da ogni contesto e considerate quindi come un’implicita ammissione di colpevolezza: “Il virus è nato in Lombardia!”.

La commentatrice televisiva non commenta infatti la notizia: lascia che siano gli spettatori a trarre le conclusioni.

Così, in Cina, nasce una Fake News.

Le prime insinuazioni partono da fonti ufficiali governative, e poi gli organi di stampa e radiotelevisivi controllati dal governo ricevono una “velina”: accusate gli italiani…

Viene pubblicata una notizia su Twitter, la cui fonte sono “i giornalisti”. Si manda quindi qualcuno in televisione che lancia un sasso nello stagno: “Il virus era presente in Italia, prima che cominciasse a circolare in Cina.”

Taaac! La Fake News è fatta, pronta per circolare dentro e fuori dalla Cina.

 

 

DALLA PISTA ITALIANA A QUELLA AMERICANA
La pista lombarda viene però abbandonata quasi subito, forse per mancanza di altri indizi, ma probabilmente anche perchè la guerra delle notizie False/Vere è diventata un affare tra Cina e America.

Trump sta già scaldando i motori per una campagna elettorale in cui il peso dei morti di coronavirus in America non dovranno essere imputabili alla sua gestione dell’emergenza sanitaria, ma alla cattiva condotta della Cina, colpevole di non aver avvisato i paesi occidentali del rischio in arrivo.

Anche se Mike Pompeo non ha ancora accusato l’Istituto di Virologia di Whuan, il governo cinese ha già capito che aria sta tirando in America.

Sempre Zhao Lijing, il 12 marzo, manda i primi avvertimenti all’America, sempre su Twitter. Questa volta, viene estrapolato da un’audizione al congresso americano il momento in cui Robert Redfield, il direttore del Centers for Disease Control and Prevention, risponde a un membro del Congresso che ha chiesto se sia possibile che qualcuno dei pazienti morto per influenza, non sia in realtà morto di Covid.

Robert Redfield, durante l’audizione, risponde che non solo è possibile, ma che dopo che sono stati messi a punto i test, alcuni pazienti hanno ricevuto la diagnosi corretta.

La loro morte era dovuta al Covid e non all’influenza.

Zhao Lijing riprende lo spezzone di video nel suo post e accusa: “2/2 CDC was caught on the spot. When did patient zero begin in US? How many people are infected? What are the names of the hospitals? It might be US army who brought the epidemic to Wuhan. Be transparent! Make public your data! US owe us an explanation!”.

Zhao chiede cioè quando ci sia stato il primo “vero” Paziente Zero negli Stati Uniti, quante persone in America si siano ammalate di Covid, in quali ospedali, e soprattutto se non sia stato l’esercito americano a portare il virus a Whuan.

La colpa della nascita del virus viene ributtata sugli Stati Uniti, colpevoli non solo di aver nascosto il Paziente Zero, ma soprattutto di aver portato il virus a Wuhan grazie all’esercito americano!

E quando sarebbe avvenuto?

La versione ufficiale che il governo cinese mette a punto è la seguente: il virus, nato sul suolo americano, è stato portato a Wuhan dallo stesso Pentagono, che ha mandato 17 team per un totale di 280 atleti e altri membri dello staff ai Military World Games tenutisi a Wuhan, tra il 18 e il 27 ottobre 2019.

Il 13 marzo Zhao Lijing fa infatti una conferenza stampa e annuncia su Twitter che: “Il Virus potrebbe essere stato portato in America dall’esercito americano!

Gombloddo, quindi, ma americano, questa volta!

 

 

IL GOMBLODDO CONTINUA
Da questo punto in poi, la teoria del gombloddo americano comincia a rotolare come una palla di neve e si ingrossa grazie all’intervento di un complottista americano, George Webb, che pubblica su Internet il video di una soldatessa dell’esercito americano, Maajte Benassi, che ha partecipato ai Giochi Militari ed è caduta duranta la gara di ciclismo.
Secondo George Webb, la Benassi sarebbe caduta perchè già malata di coronavirus, come sostiene in un video su Youtube che è stato in seguito ritirato.

Webb fa parte di quella categoria di complottisti che campano sui click degli utenti, ma poco importa- Il solito Global Times il 25 marzo riporta subito la notizia, citando George Webb: “An American journalist claimed one US military athlete in the delegation could be patient zero of the deadly new disease”. Sempre nello stesso articolo, un certo professore Li Haidong, dichiara al Global Times che “il governo americano deve rispondere alle domande sollevate da questa controversia e pubblicare le informazioni relative allo stato di salute della Benassi così da chiarire tutti i dubbi e aiutare la comunità scientifica a capire quali sono le origini del virus”.

La palla di neve continua a rotolare, perché la signora Chunying, sempre nella sua conferenza stampa del 7 marzo, cita altri casi di coronavirus che si sarebbero manifestati in America, ben prima che a Whuan.

Il sindaco di Belleville, Michael Melham, ha infatti rilasciato un’intervista alla CGTN in cui dichiara di aver sofferto di una “strana” influenza nel novembre del 2019, e di aver poi eseguito recentemente un test sierologico dal quale sarebbe risultato positivo agli anticoprti del Covid.

Michael Melham racconta quindi di essere stato accusato di essere un complottista da non meglio precisati suoi concittadini, ma il giornalista di Global Times l’assolve da ogni accusa e conclude dicendo che l’University College London Genetics stia studiando il fatto che il Covid starebbe circolando “globalmente” dall’anno scorso.

Globalmente quindi, in tutti paesi del mondo, nessuno escluso.

Chi ha orecchie per intendere, intenda.

 

 

IL GOMBLODDO È UNA COSA SERIA
Sempre sulle pagine del Global Times, leggiamo che in realtà i primi casi di Covid negli Stati Uniti potrebbero risalire al luglio 2019: “Secondo la televisione ABC News e un servizio della CNN nel luglio 2019, una comunità di anziani residenti in Virginia era stata colpita da un’inspiegabile malattia respiratoria, che aveva causato sintomi come tosse e polmonite in 54 dei residenti e la morte di due“.

Probabilmente, cercando su Internet, troveremmo da qualche parte il servizio di ABC News e della CNN, ma come abbiamo visto, la tecnica dei complottisti è quella di individuare un “segmento” di notizia ritenuto utile per costruire una storia inventata, isolarlo quindi dal contesto in cui era inserito, e fare poi un’opera di “taglia e cuci” con altri frammenti di notizie provenienti da contesti diversi.

Il risultato finale è una nuova esposizione, concatenata in modalità diversa da quelle precedenti, di una serie di eventi che si sono verificati.

La nuova versione – lo scoppio in America di un’epidemia di coronavirus precedente a quella cinese – segue la nuova trama che ha deciso il narratore, senza che vi sia più una relazione con quello che è stato il reale succedersi degli eventi.

Una volta imparata la tecnica, chiunque può creare un gombloddo.

Si prendono dieci secondi di un video che dura magari due ore, li si collegano a un evento che non c’entra assolutamente nulla, si aggiungono accuse o sospetti, e poi si lascia viaggiare la teoria del gombloddo sulla Rete, in attesa che rimbalzi appunto come una palla di neve. E si trovi magari qualche nuovo complottista che vuole aggiungere un nuovo episodio al plot del gombloddo.

Ma mettere in piedi un gombloddo richiede la costruzione di una trama narrativa ben più complessa di quella delle Fake News, che a volte sono basate su un singolo evento: quante volte vengono annunciate le falsi morti delle celebrity?

Il gombloddo è una cosa seria: va nutrito, alimentato, bisogna creare sempre nuove connessioni casuali, che dimostrano come la teoria centrale del gombloddo sia vera.

E poi, cosa c’è di più facile per mettere in piedi la teoria di un gombloddo, quando è lo stesso Partito Comunista Cinese a costruire la “narrazione” del gombloddo, a mezzo di dichiarazioni dei suoi esponenti, rilanciate sui social network occidentali, ma anche diffuse a mani larghe dalla stampa e dalla televisione cinese, sempre rigorosamente di proprietà dello stato e quindi del Partito Comunista?

All’interno della Cina, il gombloddo secondo cui il virus arriverebbe dall’America viene infatti rilanciata velocemente su tutti i social network cinesi, senza che qualcuno possa metterla in discussione, grazie allo strettissimo controllo esercitato dal famigerato Great Firewall che gestisce il sistema di censura e sorveglianza dell’Internet cinese.

Neanche Orwell avrebbe immaginato con che velocità si potesse riscrivere la storia, evitando anche il rischio di possibili contestazioni.

 

 

A COSA SERVONO I GOMBLODDI E LE FAKE NEWS
La teoria secondo cui il virus sarebbe stato importato dagli americani a Whuan serve sicuramente alla Cina  per dichiarare davanti al mondo: “La colpa della pandemia non è della Cina!”.

Si stanno infatti moltiplicando le richieste di risarcimento nei confronti della Repubblica Popolare Cinese per i danni causati dal coronavirus.

Richiesta di danni a cui i cinesi rispondono accusando Trump e la politica estera americana: “U.S. foreign policy history proves that it, not China, should pay reparations”, e cioè: “La politica estera americana è la prova che l’America, e non la Cina, dovrebbe pagare i danni!”.

Secondo Andrew Korybko, editorialista della solita CGTN, Trump avrebbe infatti avuto mesi per prepararsi all’emergenza sanitaria (visto che il coronavirus è nato in America…), ma non lo ha fatto. Colpa sua! Non solo: le guerre americane hanno provocato danni gravissimi ai paesi dove gli americani sono andati con il loro esercito. Nell’editoriale di Korybko segue quindi una lista dei paesi dove gli Stati Uniti hanno mandato le loro truppe: shame on you, America!

Ma il Partito Comunista Cinese ha altre ottimi ragioni per mettere in piedi la teoria del gombloddo americano:  ragioni di politica interna.

Il PCC deve giustificare davanti al suo popolo il fatto di non essere riuscito a mitigare lo scoppio dell’epidemia, quando invece i medici di Whuan avevano avvertito le autorità locali della presenza di un nuovo virus.

Il dottor Li Wenliang è morto un mese dopo aver subito la vergogna dell’interrogatorio da parte della polizia di Whuan, perchè aveva denunciato su una chat di colleghi medici l’esistenza di polmoniti anomale che credeva collegate a un nuovo caso di SARS. La storia di Li Wenliang è riuscita a oltrepassare il Great Firewall: tutti in Cina sanno che è morto da eroe, dopo aver detto la verità e non essere stato ascoltato.

Il fatto che le più alte autorità cinesi siano le principali forze tessitrici della teoria cospirazionista contro l’America è quindi un segno di debolezza politica, oltre a essere una delle ennesime prove che il regime cinese si regge sul tentativo costante di manipolare le opinioni dei propri cittadini.

Non è d’altronde un segno di sanità politica il fatto che l’amministrazione Trump stia appoggiando le teorie cospirazioniste sull’Istituto di Virologia di Wuhan, con l’obiettivo neanche tanto nascosto di spostare sulla Cina la colpa (americana) di aver risposto in ritardo all’emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia. Una simile accusa sta infatti arrivando da molte voci del mondo americano, colpito duramente dal virus.

In conclusione, quando le teorie cospirazioniste sono sostenute direttamente dai governi, si può  senz’altro considerarle come il segno di un tentativo manipolatorio per mantenere il consenso dei propri cittadini, che temono e vacillano di fronte a un futuro incerto e minaccioso come quello disegnato dalla pandemia. E potrebbero quindi far mancare il loro consenso alle élite che governano i loro paesi, siano questi ultimi paesi democratici o di stampo totalitario.

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