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La strategia social e gli apparati tecnologici dell’Isis

8 Gennaio 2016

L’ISIS allunga i suoi tentacoli dappertutto e anche negli Stati Uniti. I suoi simpatizzanti, come i killer della strage di San Bernardino, spuntano fuori in tutto il paese e Twitter è il loro social network preferito. Attraverso il microblogging, i seguaci del Califfato diffondono messaggi, postano video e proclami, fanno propaganda e cercano di reclutare nuovi adepti alla loro causa come documenta l’indagine ISIS in America: From Retweets to Raqqa. Quello di Lorenzo Vidino e Seamus Hughes, ricercatori della George Washington University, è un ampio e approfondito studio, svolto nell’ambito del Program on Extremism, che mostra la presenza Oltreoceano di una significativa rete di supporter dello Stato Islamico.

Gli Stati Uniti sono investiti dalla nuova ondata di radicalismo islamico anti-occidentale che ha cominciato ad attecchire internamente facendo affidamento anche sui social media, diventati un importante fattore nella strategia di avanzamento e propagazione dell’attivismo pro-ISIS.
Secondo James Comey, direttore dell’FBI, sono «centinaia, se non migliaia» i simpatizzanti e le potenziali reclute in tutti gli Stati Uniti. Solo nel 2015 sono stati eseguiti 56 arresti per attività terroristiche connesse all’ISIS. Si tratta di un numero record dall’11 settembre 2001, anno dell’attentato alle Torri gemelle. Sempre nel 2015 le autorità Usa hanno avviato una vasta operazione di sicurezza contro 900 estremisti religiosi violenti in 50 diversi Stati americani. Tra le accuse mosse quelle di cospirazione, fiancheggiamento o appartenenza ad organizzazione terroristica.

Lorenzo Vidino e Seamus Hughes hanno esaminato migliaia di documenti relativi alle inchieste giudiziarie, condotto interviste e monitorato la condotta sui social network, tracciando così il profilo dei soggetti incarcerati, incriminati o ispirati alle idee dello Stato Islamico. Analizzando il gruppo di 71 persone sotto arresto dal marzo 2014 – di cui 1 su 3 è stato accusato di aver ordito piani per compiere attacchi terroristici negli Stati Uniti – emerge che il sostenitore medio dell’ISIS è un giovane maschio di 26 anni, nel 40% dei casi convertito all’Islam, cittadino americano o con permesso di risiedere illimitatamente negli Stati Uniti. Questo sta ad indicare che la minaccia jihadista proviene dall’interno del paese. Un problema, peraltro. segnalato nel lontano 2008 dal Senato americano nel rapporto Violent Islamist Extremism, the Internet, and the Homegrown Terrorist Threat , che basava la sua valutazione sull’intensificarsi della mobilitazione online dell’estremismo musulmano made in Usa.

Internet e social media catalizzatori della radicalizzazione islamista

I social media hanno assunto una funzione cruciale nei processi che inducono i singoli a spostarsi verso posizioni più radicali. Ma più in generale, Internet viene utilizzato in una varietà di modi per estendere e diffondere il messaggio dell’Islam più estremista e violento, come mette in luce una ricerca condotta dal King’s College London per conto della Commissione europea.

Le nuove tecnologie forniscono strumenti a basso costo, efficienti e sicuri, per accedere direttamente ad un più largo pubblico con minori rischi di censura e lo scudo dell’anonimato. Una manna per gli estremisti che, anche a distanza, sono in grado di stabilire contatti in altri paesi lontani e mobilitare gli interlocutori per spingerli a partire e combattere a fianco di forze fondamentaliste in Iraq e in Siria (sono diversi i foreign fighters americani unitisi all’ISIS), o a preparare attacchi terroristici in loco.

La comprensione della forza e del ruolo di Internet – che in un documento del Coordinamento nazionale olandese per l’antiterrorismo e la sicurezza, viene definito un catalizzatore della radicalizzazione islamista – è già patrimonio di al-Qaida. Sin dal 2003, un testo comparso sul sito Al-Farouq  e attribuito all’organizzazione guidata da Osama Bin Laden, sanciva il “sacro dovere” della cyber jihad, che comprende la partecipazione alle attività via web per difendere i principi dell’Islam contro le false verità degli infedeli e i siti fonte di corruzione.

I principali leader di al Qaida, come Ayman Al Zawahiri, hanno, del resto, a più riprese sottolineato il valore strategico di Internet per la costruzione di una comunità jihadista a vocazione globale. Sebbene non sia paragonabile a quello delle relazioni offline, l’impatto delle connessioni stabilite virtualmente non deve essere nemmeno sottostimato. Ci sono casi – come quello del giovane marocchino Younes Tsouli, processato in Gran Bretagna per istigazione al terrorismo –, in cui il reclutamento e l’ascesa di nuove star jihadiste si realizza grazie ad un percorso intrapreso online. Internet da solo può essere, quindi, determinante, in certe circostanze, per far confluire un soggetto nelle fila estremiste e causare una sua successiva attivazione per colpire obiettivi reali.

Terroristi, esperti di nuove tecnologie

In questo quadro, l’ISIS ha portato ad un livello più avanzato la sua azione nel cyberspazio. Gli analisti Usa hanno più volte messo in risalto la grande capacità di questo gruppo di raggiungere una vasta audience online, più velocemente e più efficacemente rispetto ad altre formazioni jihadiste. I membri dell’ISIS sono particolarmente abili nell’uso delle nuove tecnologie. Ghost Security Group, un collettivo hacker impegnato, al pari di Anonymous, nella guerra digitale anti-terrorismo, ha scoperto che lo Stato Islamico ha creato una sua app Android, per diffondere informazioni e materiale propagandistico nel suo network.

L’applicazione, fondamentalmente un notiziario dell’agenzia Amaq, non sarebbe disponibile su negozi online quali Google Play e App Store ma verrebbe scaricata da link condivisi tramite app come Telegram, in grado di criptare le comunicazioni.

Per sfuggire alla sorveglianza governativa, soprattutto nella fase post-Snowden, l’ISIS, stando a quanto riportato da Rercorded Future, ha, inoltre, sviluppato un software alternativo di crittografia chiamato Asrar Al-Ghurabaa. Lo Stato Islamico avrebbe addirittura costituito un help desk informatico, attivo 24 h su 24, per gli appartenenti alla sua rete terrorista aiutandoli a comunicare in modo da non essere intercettati dalle autorità di polizia.

All’ISIS piace Twitter

Gli attivisti e i simpatizzanti ISIS sfruttano per i loro scopi di agitazione e propaganda una varietà di piattaforme. Naturalmente Facebook, che Tashfeen Malik, responsabile dell’eccidio di San Bernardino, ha impiegato per dichiarare fedeltà al “Califfo” Abu Bakr al-Baghdadi poco prima di scatenare il sanguinoso attacco, ma anche Google+, Instagram , Youtube e Tumblr, oltre ad applicazioni di messaggistica come Kik, Telegram, Diaspora, SureSpot e il dark web. Ma Twitter è di gran lunga il social media prediletto.

La galassia ISIS sul microblogging – che conta circa 300 utenti attivi, di cui un terzo donne, identificati da Lorenzo Vidino e Seamus Hughes – si divide in tre categorie: i nodi, produttori di contenuti, gli amplificatori, impegnati a ritwittare, e gli shout-out che ricreano altri account in sostituzione di quelli sistematicamente chiusi.

Lo Stato Islamico non ha una presenza ufficiale su Twitter perché l’ultima è stata rimossa nel luglio 2014. Ma sul social network i suoi proseliti imperversano usando avatar come bandiere nere, leoni e uccelli. Di norma, i contenuti inseriti sono clip, foto o commenti ma si lanciano anche hashtag per annunciare attacchi – come nel caso di Elton Simpson che twittato #texasattack, prima di entrare in azione sparando ad una fiera a Dallas dove si svolgeva una gara di fumetti su Maometto –, o campagne aggressive e TwitterStorm: un esempio di questo tipo è #AllEyesonISIS, introdotto in concomitanza della marcia per la conquista dell’ISIS della città di Mosul.

Vano è il tentativo di bloccare gli account dei fedelissimi del Califfato, per i quali essere oggetto di un provvedimento di sospensione è un motivo di vanto e una maniera per acquisire credibilità nella community. La lotta è impari e non basta averne eliminati migliaia perché la loro ricostituzione è immediata e inesorabile grazie all’impegno e alla tenacia degli shout-out.

Libertà di parola sotto scacco grazie al terrorismo online

Twitter però non ha intenzione di mollare la presa e ha aggiornato le sue regole rafforzando gli sforzi per tenere fuori ed espellere dalla piattaforma chi promuove violenza e terrorismo. Tutte le aziende però si stanno riorganizzando dietro le quinte  per contrastare meglio l’estremismo online.

Eric Schmidt, presidente del consiglio di amministrazione di Alphabet (ridenominazione di Google), ha proposto di applicare una tecnologia simile ai sistemi automatici di controllo ortografico per contrastare i contenuti violenti e terroristici. Altri pensano che si possano bloccare i contenuti jihadisti con programmi come PhotoDNA  che è in grado di riconoscere immagini precedentemente note, conservate in enormi database, per permettere di rimuovere dal web la pedopornografia.

Tuttavia, il rischio è che, una volta adottata, se possibile, questo tipo di soluzione, cedendo alle pressioni sempre più insistenti delle autorità che chiedono maggiore collaborazione alle Internet companies per spiare e dare la caccia ai terroristi on line, si possa spianare la strada ad una nuova fase della sorveglianza governativa di massa. Ad essere compromesse potrebbero essere la privacy e la libertà di parola che le esigenze di sicurezza mettono a dura prova. Non solo negli Stati autoritari, che ambiscono a controllare e silenziare i dissidenti sul cyberspazio, ma anche nei sistemi democratici, nei quali la difesa degli spazi di libertà di espressione online diventa una sfida difficile in tempi di guerra al terrorismo.

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