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Intervista a Nuzzi: la politica non mi difende a causa del Vaticano
Già autore del bestseller internazionale (tradotto in 14 lingue) Vaticano Spa, Gianluigi Nuzzi è tornato a investigare sulle trame oscure della Curia con Via Crucis, libro uscito poche settimane fa per Chiarelettere e che ha dato il via al cosiddetto Vatileaks 2. Assieme a Emiliano Fittipaldi (anch’esso autore, per Feltrinelli, di un’inchiesta sul Vaticano, Avarizia) il giornalista e conduttore televisivo è finito sotto processo nello stato papale, che vede coinvolti pure monsignor Lucio Vallejo Balda, ex segretario della Commissione referente sulle strutture economiche e amministrative della Santa sede (Cosea), Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio. Per il codice penale vaticano, i due giornalisti si sarebbero resi protagonisti di un reato grave. Nel paragrafo sui «Delitti contro la Patria» nel luglio del 2013 è stato infatti inserito un nuovo articolo, il 116 bis: «Chiunque si procura illegittimamente o rivela notizie o documenti di cui è vietata la divulgazione, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni o con la multa da euro mille ad euro cinquemila». Sebbene per ora si sia svolta solo la prima udienza (durante la quale ai due imputati è stato vietato il diritto di farsi assistere dai propri legali), il caso ha scatenato un’eco mediatica spaventosa, specie all’estero, mentre dalle istituzioni politiche italiane non sembra siano arrivate risposte soddisfacenti. Avvicinato da Cultora, Nuzzi ha deciso di rilasciare un’intervista esclusiva.
Riguardo la sua operazione editoriale, nei giorni scorsi ha avuto anche la manifestazione di solidarietà da parte dell’Associazione Internazionale degli editori, a riprova del fatto che anche tra gli addetti ai lavori la bontà del suo testo rimane indiscutibile. Tuttavia, c’è qualcosa che ritoccherebbe?
Nulla. Rifarei esattamente tutto quello che ho fatto.
A parte queste manifestazioni di sostegno però, non pare ci sia stata una grande levata di scudi da parte delle istituzioni?
La politica in realtà è stata abbastanza assente, a riprova del fatto che l’influenza del Vaticano sia ancora abbastanza forte in Parlamento. Molti fanno finta di non capire che il processo a cui siamo sottoposti [assieme a Fittipaldi, ndr] è un processo a un diritto di cronaca. Nessuno ha mai smentito il contenuto di questo testo, e si tratta dunque di una chiara violazione del diritto di informare.
Si aspettava una vicinanza maggiore, se non dal Premier Renzi, quantomeno da parte del Ministro della Cultura Franceschini?
Ma guardi io ho molta diffidenza nella politica in sé. E per mia fortuna, aggiungerei, altrimenti alla luce dei fatti mi sarei dovuto considerare anche vittima di aspettative malriposte. Ci sono però anche esempi individuali di persone per bene…
Si riferisce ai parlamentari che la sostengono con la raccolta firme lanciata da Capezzone?
Esatto, credo siano arrivati a 125 coraggiosi, più di uno su otto. Ma di norma la politica non ha un buon rapporto col giornalismo, se non con quello asservito, che cresce per situazionismo e fatto da quei professionisti che si adattano al politico di turno o costruiscono la propria carriera nei rapporti con i politici.
Eppure, il suo sta diventando per forza di cose un caso politico. Potrebbe esserci magari la volontà da parte delle correnti cattoliche della maggioranza di non sostenere la sua posizione, mentre da parte dell’opposizione potrebbe esserci il tentativo di cavalcare l’immobilismo del governo in questa circostanza?
Credo che per ora sia ancora un discorso prematuro, visto che il processo si trova ancora in una fase embrionale. Chiaro che quando entrerà nel vivo il problema politico si porrà di certo. Per ora le cose che sono risaltate sono state soprattutto due: l’attenzione, specie da parte della stampa anglosassone [l’Unione dei giornalisti britannici ha definito “illiberali” le accuse mosse dal Vaticano contro i due scrittori, ndr], e questa narcolessia politica indegna del paese in cui viviamo. Ma del resto non lo scopriamo oggi.
Non si sente tutelato dall’Italia?
Ho una coerenza di base che mi porta ad essere indignato oggi come lo ero un anno fa. Conosco i limiti di questo paese e non mi aspettavo nulla di diverso.
Un paese in cui il giornalismo investigativo non è che goda proprio di particolare cura, mi dirà.
Da noi il giornalismo d’inchiesta rappresenta una sorta di foglia di fico per molti editori. Devo dire però che l’azienda per cui lavoro, la vituperata Mediaset, è stata molto attenta alla vicenda, alla quale ha concesso moltissimo spazio sia nei telegiornali che nei programmi di approfondimento. A riprova del fatto che assieme ai cambiamenti del mondo circostante bisogna fare i conti anche con i luoghi comuni. E qui non c’è un giornalismo di destra o di sinistra, ci sono un giornalista di Mediaset e uno del gruppo l’Espresso che si trovano di fronte ad accuse assurde.
Durante il processo per quello che a tutti gli effetti fu un “reato d’opinione”, Erri De Luca rispondeva che per uno scrittore come lui doversi difendere da tali accuse fosse un onore. Per lei è un onore essere così bersagliato per il frutto di un’indagine non ancora confutata?
No, un onore no di certo. Se fosse successa questa cosa in Italia, avrei reagito in modo molto più forte. Il Vaticano viene visto ancora come uno stato terzo, ma è uno stato che si regge sulle donazioni dei cattolici. Non c’è un sistema impositivo di tasse. Noi abbiamo tutto il dovere nel capire come mai dall’80 al 50 per cento delle offerte dell’obolo di San Pietro non finiscono in beneficenza…
Appunto per questo, il fatto che il diretto interessato ostracizzi questo lavoro attribuisce ancor più veridicità ai vostri testi.
Certo, certo.
Lei è credente?
Sì, certo.
Dal suo libro traspare una certa speranza nell’azione riformatrice di Papa Francesco, mi pare di capire quindi che anche secondo lei possa essere davvero lui il portatore di una nuova aria riformatrice.
Sicuramente è un’occasione di cambiamento all’interno della Chiesa come dice lui stesso. Bisogna vedere se riuscirà a compiere la sua opera.
Le sembra più determinato rispetto ai predecessori?
Questo è assolutamente evidente. Rispetto a Ratzinger i due sono mossi da principi evangelici differenti. È una sfida importante, vediamo come andrà a finire.
Non pensa che inchieste come le sue possano contribuire ad alimentare un certo anticlericalismo che nel nostro paese sta dilagando?
La prima regola da seguire se uno vuole diventare un giornalista è non chiedersi a cosa possano dar vita le proprie inchieste. Altrimenti si fa partigianeria. Se lei si chiede a chi possano beneficiare o meno alcune sue tesi occupa già la posizione dell’ufficio stampa.
La lascio con una frase tratta da “Un mestiere del diavolo”, il libro dell’ex numero uno dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, in uscita in questi giorni per Giubilei Regnani: “Per formare il gregge bisogna prima formare i pastori, se i pastori non sono formati il gregge si disperde”. Crede anche lei ci sia bisogno di persone nuove?
Il Papa sta facendo proprio questo. Non a caso alcuni pastori che erano stati allontanati dalla Curia e messi alla periferia della Chiesa li sta riportando al centro. La Curia non deve essere espressione del potere ma espressione della fede di tutti. In questo il Papa ha una visione conciliare simile a quella di Gotti Tedeschi, pur avendo poi storie diverse.
Un’ultima cosa, in conferenza stampa a San Sosti, nel cosentino, Francesca Chaouqui ha rilasciato alcune dichiarazioni nel tentativo di difendersi dalle accuse, in cui fa anche il suo nome (“Capii subito cosa stava accadendo e pensai a mons. Balda, e a come fosse affascinato dal giornalista Gianluigi Nuzzi. Ma monsignor Balda gli ha consegnato dei documenti solo per sostenere che la riforma di Francesco ancora non è stata messa in pratica”). Cosa ne pensa?
Preferisco non commentare.
FONTE: Cultora intervista di Daniele Dell’Orco
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