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W le intercettazioni da portinai, sono le uniche che spiegano il Paese
Quando finiscono su un giornale, le intercettazioni diventano immediatamente genere letterario, non più questione giudiziaria. E come genere letterario vengono giudicate con il metro del puro piacere, esattamente come si fa con un libro che ci è stato consigliato, di cui abbiamo letto da qualche parte o che è in testa alle classifiche. Alla fine, è soltanto la noia a decidere dei nostri sospiri telefonici su carta. Al lettore, della questione strettamente giudiziaria interessa nulla, al lettore interessa tutto quanto corre intorno all’indagine, le questioni sentimentali, antropologiche, l’indagine sull’uomo. Senza le intercettazioni, soprattutto “quelle che NON hanno attinenza con l‘indagine”, nulla sapremmo del nostro Paese. Nulla sapremmo dei suoi meccanismi di potere, nulla conosceremmo dell’animo umano, delle sue miserie, delle sue bassezze, non ci capiterebbe neppure di imbatterci in un piccolo eroe del nostro tempo, che invece è sfuggito all’ineluttabile destino e si consegna ai cittadini incredibilmente come una persona perbene. Vivremmo di Gazzette Ufficiali, di stanchi bollettini a-sentimentali dove non compare mai la questione più carnale, che è poi quella decisiva per la comprensione dei fenomeni e delle esigenze, appunto, letterarie. O vi illudete che il lettore di un quotidiano, qualsiasi quotidiano, sia il classico ragioniere da brogliacci di intricatissime inchieste, difficili da interpretare persino dai protagonisti?
Volendo racchiudere in un’immagine: il lettore di giornali è un grande portinaio. Ma un grande portinaio ha sempre fatto un grande condominio.
Noi vogliamo conoscere tutto il laterale, perché è da lì, guardando l’erba dalla parte delle radici, o più prosaicamente dal buco della serratura, che capiremo la tessitura di una trama più larga, dove il paese si intreccia col sottobosco, quella terra di mezzo che il cecato Carminati ci consegnò impeccabilmente come la fotografia di una nazione. Siamo all’opposizione di un politicamente corretto che ci indica questo sì e questo no, palombari in emersione nello stagno maleodorante, dove le abitudini a una vita comodamente diversa da quella di tutti i normali cittadini, definiscono esattamente chi fa come cazzo gli pare e chi, invece, è costretto al rispetto della convivenza civile. Il corpo centrale delle intercettazioni, quelle che riguardano esclusivamente l’indagine in oggetto, lo lasciamo volentieri al sergente Garcia dei diritti civili anni ‘80, il buon Mattia Feltri, adesso direttore dell’Huffington, che ha un’educazione da fogliante e di quel giornale porta ancora le stimmate. Quel giornale che proprio stamattina, fresco come una rosetta ancora calda, titola l’editoriale di Mastro Ciliegia: «Intercettazioni irrilevanti, che fare? Perché Il Foglio ha scelto di non pubblicarle».
Ma bravi foglianti! Vogliamo dedicarvi, perdendo qualche secondo in più, un episodietto gustoso di un Gramellini giovanissimo in trasferta calcistica in America, quando in albergo bussava divertito alla porta di certi colleghi e al “Chi è?” di prammatica, da dietro la porta rispondeva sarcastico : «La grammatica!». Ecco, sostituite il giornalismo alla grammatica e per voi i conti torneranno. (Naturalmente, eravamo presenti. Qui non si vendono episodi per sentito dire.)
Ma insomma, questi benedetti ragazzi vorrebbero, nel loro mondo ideale, che tutto quanto (non) è spettacolo, quindi vita, carne e sangue, debba finire nel water della procura e mai più a disposizione di nessuno. Pretenderebbero che i titolari delle inchieste, già oberati di lavoro, esaminassero con il piglio leguleio ogni sospiro di babbo Renzi o del tonico Palamara, giusto per dirne due, e che come pistilli di zafferano, preziosissimo oro rosso, selezionassero solo i fili magici in purezza. Un lavoro impossibile. Prendiamo appunto il caso Palamara. Cosa (vi) colpisce di più, qual è la domanda che vi sorge spontanea? Forza, non siate timidi. È forse una domanda sul Csm, sulla sua composizione, sulle sue correnti, sulla guerra interna di potere? Ma questi, sono i quesiti che angosciano giustamente una grande cronista come Liana Milella! O che fanno sobbalzare il nostro amatissimo Mattarella. Ma voi invece, proprio voi che avete cacciato il vostro euro e cinquanta di che caspita parlerete al bar? Perché se parlate al bar di Consiglio Superiore della Magistratura, allora vi dovete far vedere. Perché su quello, Palamara ha tutte le risposte pronte e ieri sera, con la massima disinvoltura, le ha già espresse da Giletti. Chiedendo a tutti i non fare le anime belle, che le correnti sono nate col mondo, che i magistrati che non hanno corrente ci smenano professionalmente, e che lui fa il mestiere per cui è stato chiamato dal Paese: il Grande Mediatore. Palamara grande mediatore, un notizione!
Invece voi che siete gente normale e perbene, ma soprattutto buoni lettori di giornali, di quella roba non vi frega una ceppa e semmai volete sapere “perchè” Palamara ha tutto questo potere. Perché viene chiamato (e chiama a sua volta) da tutti i mondi possibili, lo sport, il cinema, la politica, le amanti, le mogli, gli amici, i viandanti, i fioristi, i gran dottori, e per tutti ha una parola buona. Quella in automatico è: «Vediamo cosa si può fare». Perché le porte devono sempre rimanere aperte, questa è la prima regola. In questa enorme tessitura generalista sul territorio, c’è esattamente il racconto del Paese. C’è, incontrovertibilmente, la spiegazione in purezza di come si acquisisca un potere personale che poi diventa pubblico, e di come, soprattutto, tutto questo sia un lavoro faticosissimo, del tutto alienante. Ma vi rendete conto: svegliarsi ogni mattina col tarlo del potere. E cominciare subito, neppure ingurgitato il primo caffè, a chattare, mandare messaggi, organizzare incontri, immaginare scenari. Un’immensa, infinita, rottura di coglioni.
Se togli tutto questo dai giornali, come vorrebbe l’impiegatizio Cerasa, non avrai mai una folgorante descrizione del Potere. Nelle sue radici, nella sua parte più nascosta e solo apparentemente più lieve. Avrai anonima ragioneria.
Ma bisogna essere professionisti di questo mestiere, e a un ottimo livello di sensibilità, per saper gestire il flusso. Perché il flusso va esaminato e disciplinato. Con cura, con amore. Non si buttano le intercettazioni in pagina col badile. Certe cose si richiudono e, loro sì, si rimettono nel cassetto, ben chiuse. E sono quelle che il mondo brutto là fuori chiamerebbe debolezze o perversioni, e che hanno diritto a restare patrimonio personale dell’interessato (a meno che non presentino elementi di reato). Farò un solo esempio, che non ho mai dimenticato. Era il cosiddetto scandalo P4, la gestioni di appalti pubblici, che aveva in Angelo Balducci, già provveditore alle Opere Pubbliche, uno dei grandi protagonisti. Ebbene, emerse un episodio che metteva in luce certe sue attitudini sessuali. Certo che era succulento. Certo che per il nostro bar sarebbe stato perfetto. Ma rovinava altre vite, incolpevoli, e soprattutto non aggiungeva niente. Doveva restare solo cosa sua, da discutere eventualmente con la sua coscienza. Invece divenne pubblico. Uscì su tutti i giornali, e probabilmente rovinò qualche esistenza.
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