Media

Il ragazzo delle bufale e i clic che uccidono i giornali

31 Agosto 2015

Ieri solo un sito di informazione locale siciliano, meridionews.it ha dato la notizia che un ragazzo ventenne della provincia di Caltanissetta è indagato, dopo indagini effettuate dalla polizia postale, per istigazione al razzismo.

Il ventenne è il curatore di un sito (ancora online ma “svuotato” dei contenuti) che pubblica notizie inventate di sana pianta su atroci misfatti, mai compiuti, da immigrati a danno degli italiani. Mescolandole a notizie riprese da agenzie e giornali dove i protagonisti in negativo sono sempre e comunque i migranti.
Non è difficile, navigando per i social, trovare rilanciate le notizie pubblicate dal sito. Quello che sconvolge è la giustificazione addotta dallo studente ventenne:

“Il giovane,secondo quanto riferito dalle forze dell’ordine, ha detto non avere risentimenti nei confronti di persone di nazionalità non italiana. La sua intenzione sarebbe stata guadagnare di più attraverso il sitoche gestiva. Il piano messo in atto prevedeva la pubblicazione di notizie false, su di un tema particolarmente seguito e sentito dall’opinione pubblica che riprese da altri blog e sui social network avrebbero aumentato i clic sul sito. E di conseguenza anche i ricavi garantiti dai banner pubblicitari che lo spazio web ospitava.“

La notizia dovrebbe indurre a una riflessione: a decretare la fine del giornalismo (quello che dà notizie vere e verificate e fornisce opinioni come chiave di lettura della realtà) non sarà stato tanto l’avvento delle nuove tecnologie. Il killer del giornalismo ha un nome: si chiama “clic”.

Non avendo molti giornali online, almeno in Italia, ancora trovato un modello di business che permetta di rimanere sul mercato con la sola mission che un organo di informazione dovrebbe avere (fornire notizie), la gara si gioca sui clic, sulla quantità di visualizzazioni dei contenuti. E per accaparrarseli ogni mezzo sembra lecito, soprattutto uno snippet postato sui social network, che gioca sugli istinti più bassi (la paura del diverso, Belen Rodriguez che gira nuda in casa…), che induce l’utente all’azione alla quale tutto è finalizzato: cliccare. L’obiettivo non è informare, è fare in modo che  il contatore delle visite continui a macinare numeri.

Ma c’è dell’altro. Esiste una società cche pubblica un giornale in ben 34 Paesi del mondo (Italia compresa), con il contributo di circa 400mila utenti-giornalisti attirati dalla possibilità del guadagno, che la società basa sul numero dei clic ricevuti da ogni singolo articolo (circa 3mila contributi solo negli ultimi sette giorni, secondo quanto dichiarato dalla stessa società nella home page del proprio sito).

Lo specchietto per le allodole è la cifra proposta: per un articolo si può ricevere un compenso fino a 150 euro. In un mercato, come quello italiano, dove la catena di giornali locali di uno dei principali gruppi editoriali nazionali paga 4 euro ad articolo, dove vedersi pagato un pezzo oltre gli otto euro è un miraggio, è chiaro che una “promessa” del genere non lascia indifferenti.

Per arrivare alla quotazione di 150 euro, però, l’articolo di un autore deve raggiungere circa 100mila visualizzazioni, in altre parole centomila utenti diversi devono cliccare per leggerlo.

Se un autore totalizza 1000 clic (ed è già oro che cola) il compenso è di 5,60 euro per articolo.

Lasciando da parte il controllo sulla qualità e la veridicità dell’informazione (l’unico riscontro per l’accesso alla pubblicazione è un motore di ricerca che controlla se l’articolo non è già stato pubblicato altrove, in linea con le guide di Google che richiede originalità dei contributi pubblicati), proviamo a fare due conti.

Se al fortunato autore dei mille clic vanno poco più di cinque euro, in una settimana, con tremila articoli pubblicati, il circuito registra (3000×1000) 3 milioni di clic. Provate a immaginare il guadagno: pur distribuendo agli autori (3000×5) quindicimila euro, nelle casse della società quanti milioni di euro rimangono, in una sola settimana?

Chissà se arriverà il giorno in cui a dettare le regole del gioco non saranno più soltanto i clic (certo, importanti, come lo sono le copie vendute per i giornali cartacei, ma che non dovrebbero essere determinanti). E gli investitori pubblicitari, nella pianificazione dei loro investimenti, torneranno a valutare l’unico vero elemento che può fare la differenza: la qualità.

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