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Il Partito Democratico e la narrazione inesistente
Ormai parlare della comunicazione del Partito Democratico è come aprire un cahiers de doléances, si finisce irrimediabilmente per parlare di come continui a non funzionare. Cosa curiosa per un partito in cui il leader ha ottenuto molto del suo potere grazie alla comunicazione, usata per provare a “costruire” non solo un nuovo modo di partecipazione politica di militanti e simpatizzanti, ma anche per imporre frame narrativi, per orientare il dibattito sui media, per imporsi nel dibattito e ottenere consenso. Il tanto famigerato 40,8% alle Europee del 2014 è lì a dimostrare tutto questo. Allora la comunicazione del Pd sembrava un meccanismo perfettamente oliato e incredibilmente efficiente, una rivoluzione voluta da Matteo Renzi e poi realizzata da Francesco Nicodemo tramite la creazione della ormai famosa Pd Community.
Il problema è che dopo l’exploit del maggio 2014 questa evoluzione si è arrestata. Di questo ne scrivevo già a fine luglio, articolo ripreso anche da Il Rottamatore, quando sottolineavo come successivamente all’appuntamento elettorale europeo la comunicazione del Pd avesse preso a involversi, di fatto annullando quel percorso intrapreso nel primo anno della segreteria Renzi. Da allora ho pensato, sperato, che qualcosa potesse smuoversi, contando anche sul fatto che quelle mie osservazioni furono discusse da diverse persone suoi social network, in particolare fra militanti dello stesso Partito Democratico. Insomma: si veniva da anni in cui tutti si lamentavano della pessima comunicazione del Pd, si era deciso di cambiare rotta e strategie, e dopo aver raggiunto i primi risultati si è bloccato tutto, prendendo i progressi fatti e mettendoli in naftalina. Così, come se non servissero.
Questo ha portato il Pd, soprattutto nel 2015, a prendere dei sonori schiaffi. E non sto parlando solo dei non brillantissimi risultati alle elezioni regionali, ma anche della progressiva perdita di peso nell’ambito della comunicazione, dove il partito e i suoi rappresentati sono finiti per essere spesso travolti da polemiche che, prima, avevano imparato a governare, a solcare senza subire danno. La capacità di influenzare il dibattito pubblico sui più svariati temi è come svanita, di fatto annullando una buona parte del potere non solo del partito ma anche del Presidente del Consiglio. Renzi, senza la “potenza di fuoco” del suo partito, ultimamente si è trovato spesso nell’occhio del ciclone su molte questioni spinose, come la legge sui diritti civili, lo scandalo delle banche popolari (che ha investito direttamente anche il ministro Boschi), o come sulle tante polemiche innescate dai numeri comunicati dall’Istat sulla condizione economica e sociale italiana.
E il 2016 vedrà molte battaglie importanti per il Partito Democratico. Ci sarà un turno importantissimo di elezioni comunali, in cui si dovranno decidere i sindaci di città molto importanti come Roma, Milano e Napoli, ci sarà soprattutto il referendum sulle riforme costituzionali in ottobre, che Renzi ha già avventatamente trasformato in un banco di prova per il suo governo. Nel caso quella riforma dovesse essere bocciata dal referendum, Renzi prenderebbe atto del ”fallimento del mio impegno politico”, parole che possono voler dire tutto e niente ma che in caso di sconfitta diverrebbero un’arma potentissima nelle mani dei suoi oppositori. Per far fronte a queste molteplici sfide servirebbe un partito molto forte e solido dal punto di vista comunicativo, in grado di farsi valere nel dibattito pubblico. Insomma, servirebbe un partito formato Europee 2014, invece siamo tornati a guardare un partito in formato Politiche 2013. Del resto, prima di Renzi producevano robe abbastanza tristi tipo questa:
E oggi siamo tornati a veder loro produrre robe tipo questa:
Alla Festa Nazionale de L’Unità di settembre a Milano si tenne un seminario sulla comunicazione. E qui si era discusso di un punto a mio avviso molto importante, ovvero della differenza fra propaganda e narrazione, ponendosi la domanda su quale delle due strade fosse meglio concentrarsi. La grande rivoluzione comunicativa di Renzi fu proprio quella di creare delle narrazioni che facessero sentire coinvolte le persone, che trasformassero una propaganda fatta di slogan e numeri in un racconto che potesse attirare l’attenzione di tutti. Mario Rodriguez fece allora un esempio abbastanza calzante, quello di Enrico Zanetti, leader di Scelta Civica: uno molto bravo a parlare di numeri e di aspetti tecnici, che lo fa con proprietà di linguaggio e articolando ragionamenti sensati, ma che in breve rischiano di annoiare la maggior parte di quelli che lo ascoltano, addetti ai lavori inclusi. È comprensibile che chi è al governo preferisca affidarsi alla propaganda per diffondere i risultati ottenuti, ma questo modo di comunicare diventa a mio modo di vedere poco efficace se lo si applica ad un partito.
Guardiamo ad esempio a una recentissima polemica, quella scaturita dall’idea di abolire il reato di clandestinità. Nei fatti, ce lo ricorda l’ANM, questa legge non soltanto è inutile ma è addirittura controproducente, con il procuratore nazionale antimafia Franco Roberto che afferma che ”nella realtà il reato di immigrazione clandestina è un ostacolo alle indagini”. Una legge che quindi sarebbe giusto abolire, che non aiuta a essere più sicuri, che non porta più sicurezza. E invece no, il governo nicchia, e lo fa non soltanto per la contrarietà degli alleati del Nuovo Centrodestra, ma lo fa anche in virtù del fatto che questa scelta verrebbe recepita negativamente dalle persone a causa della loro percezione sulla scarsa sicurezza. È proprio in situazioni simili che una comunicazione che sa costruire una narrazione, una “connessione sentimentale con i cittadini” (Rodriguez docet) diventa utile e necessaria per far sentire le persone parte di un gruppo che agisce per il bene di tutti sulla base dei fatti, superando le paure del singolo. Ma oggi il Pd non ha più questa capacità.
Su questo tema, usato spesso nelle contrapposizioni fra “partito leggero” e “partito pesante”, vorrei però fare una precisazione. Discutere dell’utilità o meno di creare narrazioni non significa direttamente scegliere se sia opportuno o meno fare approfondimento sugli argomenti politici. L’elaborazione della narrazione non può e non deve soppiantare la capacità di approfondimento degli argomenti, deve al contrario fungere da vettore per diffondere meglio quegli stessi approfondimenti, per renderli più interessanti a chi ascolta. Va da sé che se non si hanno buoni argomenti da diffondere allora qualsiasi narrazione rischia di diventare inconsistente e inutile a qualsiasi scopo, finendo per risultare addirittura controproducente. Probabilmente questo è stato uno dei punti che non è mai stato affrontato e chiarito completamente, quello “scatto in avanti definitivo” chiesto da molti ma che la comunicazione politica del Pd non aveva ancora compiuto nemmeno dopo il risultato delle Europee.
Alla fine mi chiedo se nella segreteria del Pd si rendano conto che la loro comunicazione sta mostrando sempre più la corda. Mi chiedo se si rendano conto che stanno per affrontare un anno molto importante, e lo stanno per affrontare senza quella che oggi è una delle armi più importanti, una comunicazione efficace. Fecero anche una Festa de L’Unità specifica per parlare di comunicazione, che si tenne dal 24 al 27 settembre a Termoli e Vasto, dove si sarebbe dovuto fare il punto sulle nuove forme di comunicazione e sul rapporto fra comunicazione e politica. Alessia Rotta, attuale responsabile comunicazione del Pd, disse che durante quella festa sarebbe stato ”definito in maniera esaustiva il ruolo dello storytelling nel nostro racconto del partito e della politica”. Farei sommessamente notare che ormai non c’è più nessun racconto nel Pd, non c’è più un vero storytelling, si è semplicemente tornati a fare pessima propaganda, esattamente come accadeva prima dell’arrivo di Renzi alla segreteria. Spero per loro se ne accorgano, o le sfide di questo 2016 diverranno l’inizio di una rovinosa caduta.
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